Mi sono imbattuta ieri,  giornata di chiusura della Settimana della Gentilezza, nel libro di Gianrico Carofiglio “Della Gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose”, dove la gentilezza diventa un’arma contro la violenza verbale, opponedosi alla forze muscolari dei vari populismi e inventandosi una nuova “grammatica della interazione”. Ho scoperto, che, oramai da oltre 20 anni, viene celebrata a livello mondiale il 13 Novembre la giornata della Gentilezza. La sua storia ha origine dalla raccomandazione ad essere i primi a “creare un’ondata di gentilezza che un giorno investirà tutta la società”, che, agli inizi  degli anni ’60,  fece ai suoi studenti, nel giorno della laurea, il preside di un’università giapponese. Quei giovani raccolsero  l’invito e nel 1989 riuscirono a far proclamare il 13 Novembre giornata mondiale della Gentilezza.

Navigando, incurisoita,  ho appreso che all’inizio di quest’anno è nato in Italia il progetto “Italia Gentile”, che ha già coinvolto un centinaio di realtà profit e non profit, circa 200mila cittadini italiani e soprattutto un numero crescente di luoghi proclamati ufficialmente «Comuni Gentili», che si propone di «incentivare lo sviluppo dei Comuni e delle realtà aderenti, in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile dell’Onu, con l’obiettivo di valorizzare la relazione tra istituzione, cittadino, territorio e natura attraverso la promozione di una nuova educazione alla consapevolezza e al benessere individuale, relazionale e collettivo ad alto impatto sociale».

E allora mi sono detta: “Valorizzare la relazione tra istituzione e cittadino” con Gentilezza, si può? E la risposta viene dalle parole di Carofiglio, che ci invita a non farci ingannare dalle apparenze e ad andare oltre. Lagentilezza è una virtù combattiva…necessaria ad affrontare con coraggio i conflitti necessari e a risolverli in un modo non distruttivo.”. A cosa punta il ragionamento dell’autore? “…a difendere il pensiero dagli slogan…a diffidare dall’idea che i manipolatori della politica siano bravi comunicatori…a sottrarre efficacia e respiro a una comunicazione che si nutre di contraffazioni, illogicità, violenza, speculazioni, fallacie, ...”. E con la mente sono andata a Benevento, quella che con amore considero la mia città e mi sono calata nel dibattito politico apertosi in queste settimane sul prossimo appuntamento elettorale.

La possibilità che dietro la costruzione di una proposta di governo della città di Benevento ci siano anche nomi storicamente solidi della scena politica locale, come Viespoli o Del Basso De Caro, non dovrebbe essere un problema. Anzi! L’esperienza è un ingrediente fondamentale di una buona ricetta politica. L’importante è che chi sta dietro il progetto vi partecipi con l’intenzione di restituire alla città quanto dalla stessa ha ricevuto aiutandola a far emergere energie sane e libere.

Quello che conta è la sincera volontà di interrogarsi su cosa sia Benevento oggi e cosa si possa e si voglia fare per darle la speranza di essere diversa. Dopo 5 anni il Comune si presenta con qualche problema di bilancio in più e qualche consigliere in meno a sostegno della maggioranza, che ha perso ancoraggi di appartenenza e ha sbiadito il profilo identitario, tanto da non essere più definibile con i normali canoni della politica, ma unicamente in una dimensione di individualistica rappresentanza di progetti elettorali. Benevento oggi  è una città che non è uscita dal cono d’ombra della crisi finanziaria di 10 anni fa. Nel 2018 ha registrato un calo generalizzato dei parametri economici (giungendo alla 95esima posizione nella ultima classifica stilata dal Sole24Ore).  In questi anni la città non si è confrontata in maniera adeguata con i problemi che sono alla base delle più evidenti criticità registrate: spopolamento, calo del pil, aumento della disoccupazione, mortalità delle imprese… Direi un’amministrazione poco impegnata a costruire il futuro, il cui passo è stato cadenzato da un Primo cittadino molto mediatico e privo di iniziative e da una giunta turnista ed evanescente.

Al netto dell’emergenza pandemica, che, mi auguro, venga affrontata dal Governo con un piano paese, per rilanciare una città addormentata sulle proprie ricchezze, ci vogliono Visione e passione. Non è pensabile governare una città  sulla base dei soli trasferimenti dello stato o delle entrate  tributarie. I comuni hanno la possibilità di mettersi in gioco grazie a strumenti di finanza europea diretta oltre che indiretta e di integrare le forze produttive del territorio, con progetti di investimento pubblico/privato. Abbiamo professionalità serie, un tessuto imprenditoriale sano, un territorio ricco naturalmente e occasioni di investimento .

 

Nell’emergenza della Pandemia il capo cittadino non si è smentito. La sua impronta è stata più social che sociale. Fermo restando  che, nella fase emergenziale, le competenze dei sindaci sono limitate al potere di ordinanza urgente per il controllo del territorio,  al coordinamento dei sindaci per il presidio della organizzazione sanitaria dell’intero territorio provinciale e allo svolgimento di quella funzione di prima istanza per i cittadini rispetto all’attuazione delle misure adottate con la decretazione d’urgenza, direi che mi sarei aspettata che facesse valere la sua quarantennale esperienza politica per avere ascolto a Napoli come a Roma portando le istanze della collettività nelle sedi deputate.

 

Il punto è quanto la città abbia veramente voglia che le cose cambino. La prima domanda da porci e alla quale dare una risposta, con gentilezza/coraggio è chi sceglie chi. Da troppo tempo noi cittadini abbiamo lasciato che fossero i candidati a scegliere gli elettori e non viceversa. Siamo pronti a scegliere liberamente e consapevolmente?