Il nodo del ripiano trentennale del debito dei comuni mostra il volto di un sistema paese che ha fatto del principio della sussidiarietà il metodo dello scaricabarile.

È sempre colpa degli ultimi, dei più prossimi, il che in termini di apparato significa che a pagare sono sempre i comuni.

Teoricamente lo Stato prevede che l’esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini sia garantito attraverso le sue diverse articolazioni – regioni, province, comuni, Municipalità. L’organizzazione dei servizi di base compete a Comuni e Province e, in applicazione della sussidiarietà verticale, in caso di inottemperanza, passa allo Stato, che dovrebbe efficientemente sostituirsi per garantire che il cittadino (sovrano!) non subisca ingiustificate interruzioni. Alle Regioni, enti territoriali di decentramento amministrativo, compete la funzione strategica, pianificatoria e di coordinamento e controllo. Il tutto dentro la cornice della nostra, un tempo, bellissima costituzione che tra interventi integrativi o per sottrazione oggi immagina una Repubblica Parlamentare, “una e indivisibile” basata sull’autonomia degli enti locali, che “riconosce e promuove”.

Posto questa premessa, le proposte formulate sono evidentemente toppe non soluzioni.

  1.  La cessione del patrimonio immobiliare dei comuni “pilotata” attraverso CDP ha un costo che ricade sempre sui cittadini sia perché lo stato negozierà a condizioni sfavorevoli il debito sia perché CDP comunque è una società pubblica, che attinge alle risorse dello stato e quindi ai soldi dei cittadini.
  2. L’efficientamento del sistema di riscossione e la promozione di un rapporto virtuoso tra stato esattore e cittadino contribuente non solo non si costruisce solo con i soldi del PNRR, ma rappresenta un processo più che di innovazione tecnologica di crescita culturale. I tempi per realizzarla peraltro non sono compatibili con la domanda di rientro di un debito così ingente che per ora grava sulle spalle delle future generazioni.
  3. L’attuazione dei Lep non è una risposta al tema del pagamento del debito, ma una misura di giustizia che da troppo tempo attendiamo. La perequazione verticale che ne deriverebbe porterebbe sicuramente in un futuro medio lungo a un miglioramento delle condizioni finanziarie di tanti enti locali, soprattutto del Sud. È certamente una urgenza, ma non ripiana il debito passato.

Solo critica? Facciamo un po’ di costruzione.

Più che trovare artifici contabili per non pagare il debito accumulato, lo Stato dovrebbe trovare soluzioni finanziarie per pagarlo questo debito. Il rientro di risorse nelle tasche di cittadini e imprese comporterebbe un rilancio dell’economia dalla quale far rientrare capitali nelle casse dello stato sotto forma di imposte e tasse.

Contemporaneamente, sul fronte della strategia, lo Stato dovrebbe certamente affrontare con serietà il tema delle riforme, non perché minacciato da Bruxelles, ma perché consapevole che senza l’Italia non riparte, tenendo ben presente quanto è scritto nelle Raccomandazioni all’Italia:

Gli Stati membri non possono usare i fondi Ue per fare quello che vogliono ma devono usarli per realizzare riforme in linea con le priorità dell’Unione. Per l’Italia significa favorire la trasformazione verde e digitale dell’economia, ma anche fare riforme come quella della giustizia e della Pubblica amministrazione, completare quella delle pensioni, rafforzare il sistema sanitario pubblico, aumentare la protezione per i lavoratori, soprattutto atipici, garantire maggiore liquidità alle imprese, tenere sotto controllo i conti pubblici.