Già dal 2000, ben prima della crisi economico-finanziaria del 2008, l’Italia è un Paese in conclamato declino in tutti i suoi indicatori sociali ed economici. In Europa, a confronto dei Paesi a noi paragonabili, ci presentiamo, nel periodo di riferimento 2008/2019, con una crescita cumulata del PIL di – 4% rispetto al +15% della Germania, al +7,5% della Francia, al +11,6% della Spagna.  Peggio di noi sta solo la Grecia con un – 22,5%; noi siamo penultimi.

Fatta 100 la media della UE a 28, il nostro PIL pro capite passa dal 119,2% del 2001 al 94,5% del 2019 cui corrisponde una perdita media assoluta di oltre 1000 € pro capite che non risparmia nessuna regione italiana.

L’ effetto della pandemia è stato quello di ampliare ulteriormente il divario.

Questo non è il declino del Sud, ma quello dell’Italia tutta a partire dalle aree forti del Paese: nel periodo 2001-2019, sempre rispetto alla media del PIL pro capite della UE, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna perdono rispettivamente il 29%, il 26% E il 29%. In questo quadro è in atto   uno tsunami demografico.  Secondo la previsione ISTAT al 2065, la popolazione nel Centro Nord passa dagli attuali 39,8 a 38,0 milioni e nel Mezzogiorno da 20,8 a 15,6 milioni. La Banca d’ Italia stima che, al tasso di occupazione e di prodotto per addetto attuali, il PIL cadrà del 16% nel Centro Nord, del 38% nel Mezzogiorno e del 24% in Italia. Ancor più devastanti sono le previsioni ISTAT per il 2070 con una caduta della popolazione di oltre 12 milioni di unità.

Ce n’è abbastanza per convenire che siamo “IL GRANDE MALATO D’EUROPA” da venti anni in marcia per entrare nel novero dei “Paesi in ritardo di sviluppo”.

UN’OCCASIONE DA NON PERDERE

La pandemia ha accelerato questo percorso, tanto da preoccupare l’UE, la cui tenuta sarebbe a rischio se l’Italia fallisse. L’UE ha, giustamente, colto nello sviluppo del Sud, in una prospettiva EuroMediterranea, il motore da accendere per il rilancio dell’intero Paese. Il traumatico impatto della pandemia e la tragica vicenda della guerra in Europa accelerano l’urgenza di dare corpo all’opzione Mediterranea una prospettiva evidente, nella sua polivalente specificità, come fu, a suo tempo, specifico e peculiare il modello cavalcato dalla Germania Federale per la riunificazione tedesca. L’UE (le ambizioni di Europa 2030 e 2050) fallisce se fallisce l’Italia, l’Italia fallisce se fallisce il Sud. 209 Mld€ sono concessi con l’esplicito obiettivo di ridurre, se non sanare, i divari tra Nord e Sud. I 209 miliardi del PNRR sono il più grande paniere di opportunità dalla stagione dell’intervento straordinario postbellico per recuperare un civile livello di coesione sociale economica e territoriale nel Paese. È paradossale: per svegliarci abbiamo avuto bisogno che una pandemia, imponesse un vincolo esterno europeo che, a ben vedere, chiede all’ Italia di rimettere in agenda il rispetto della Costituzione della Repubblica.

CHE FARE?

Lo Stato deve garantire i diritti fondamentali di cittadinanza non con metafisici, indefinibili livelli essenziali delle prestazioni bensì con livelli uniformi delle prestazioni perfettamente calcolabili (Art. 1, Comma 3, DL 77/2021). Uno Stato degno di questo nome deve governare il PNRR con l’imperativo di avviare una stagione di sviluppo, indispensabile per aggredire le disuguaglianze, conseguire la perequazione dei diritti senza comprimere quelli di chi già ne gode a un più elevato livello: il livello che non va compresso e -perciò- che solo lo sviluppo, liquidato il criterio della spesa storica, potrà consentire di conseguire a tutti.

COME FARLO?

A partire da tre missioni fondamentali: Istruzione Mobilità Salute. Ma è fondamentale essere consapevoli che l’obiettivo di queste missioni (garantire pari diritti e servizi a tutti i cittadini italiani) non può essere raggiunto con finanziamenti a bando competitivo che mettano in competizione i territori tra loro, a pena di escludere chi non sia in grado di performare gli obiettivi richiesti. La performatività di tutti i territori deve essere garantita, in obbedienza al dettato costituzionale, dallo Stato. La Governance del PNRR deve territorializzare i diritti, non le procedure: è del tutto evidente che i Comuni non sono attrezzati per rispondere alla sfida del PNRR. Non si può immaginare che questa situazione la si possa affrontare con la semplice iniezione di giovani competenze (per altro sottopagate e a tempo determinato) per sanare un’articolazione da tempo malata dell’amministrazione periferica dello Stato. Sarebbe come mandare al fronte giovani di leva. È lo Stato che ha invece organismi e professionalità disseminati capillarmente su tutto il territorio in grado di offrire la risposta urgente ed immediata che serve. Mettere in rete professionalità sostenute dalla cd Terza missione nelle Università, Ordini professionali, Provveditorati, Agenzia di coesione è quanto va fatto attingendo alla cassetta degli attrezzi disponibili. E va fatto presto. A rischio di una tragica insolvenza degli stessi obblighi che lo Stato e il Paese hanno assunto aderendo al programma europeo NextGenerationEU. Di cui potremmo anche essere chiamati a rispondere in sede europea.

FATE PRESTO

 

 

Andrea Abbamonte

Pasquale Belfiore

Paolo Cirino Pomicino

Roberto Cogliandro

Paola De Vivo

Marco Esposito

Carlo Ercolino

Adriano Giannola

Clara Guarino

Luigi Iavarone

Eugenio Mazzarella

Erminia Mazzoni

Francesco Perillo  

Massimo Pica Ciamarra

Mario Raffa ╬

Umberto Ranieri

Laura Triassi

“Grati all’amico Mario Raffa per il determinante contributo offerto al nostro lavoro”