Il PNRR è sempre al centro della pubblica attenzione e soprattutto dei pubblici conflitti. Il motivo è forse che è così poco conosciuto e conoscibile, che gli si attribuisce più di quanto in realtà può e deve produrre.

I 400 milioni assegnati il 9 maggio scorso alle regioni del Mezzogiorno con il decreto dirigenziale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono il risultato, magro, della competizione alla quale le amministrazioni del Sud hanno partecipato. Il tema vero non è il mancato rispetto del 40% del PNRR per il Sud, ma che le risorse per determinate prestazioni siano state messe a gara con l’Avviso pubblicato lo scorso febbraio. Povertà, disagio sociale, carenza della rete di assistenza ad anziani non autosufficienti e disabili, minori a rischio, sui quali interviene il fondo così distribuito, sono fenomeni sicuramente più diffusi nel Mezzogiorno. E il loro superamento rappresenta un dovere costituzionale per lo Stato che deve provvedervi in base ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali”.

Noi della periferia Italiana, dobbiamo evitare, a ogni distribuzione di risorse, di continuare a interrogarci sulla c.d.  “Clausola Sud”, affrettandoci a calcolare ragioneristicamente le percentuali di assegnazione per verificare se quel 40% definito, con un decreto integrativo al PNRR, come quota di garanzia della priorità del riequilibrio territoriale, sia stato rispettato.

Così facendo perdiamo di vista, come detto, i principi e le regole che disciplinano il trasferimento di finanze agli enti locali e deleghiamo alla straordinarietà del PNRR l’adempimento dei relativi obblighi. In questo modo, peraltro, sacrifichiamo il tutto per il particolare facendo torto a una pianificazione che non può che essere esaminata nella sua complessità.

Su tale ultima considerazione vorrei sottolineare che il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), in realtà, individua tre priorità trasversali: Giovani, Parità di genere e Riduzione del Divario di Cittadinanza. Infatti,  “Per l’Italia il programma Next Generation EU non rappresenta solo l’occasione per realizzare una Piena transizione ecologica e digitale, ma anche per recuperare i ritardi storici che penalizzano storicamente (Sic!)  il Paese e che riguardano le persone con disabilità, i giovani, le donne e il Sud.” (PNRR, pg. 36).

Le sei missioni del piano, divise in 16 componenti e 84 misure, sono state pensate per rispondere alla esigenza di superamento dei divari esistenti tra donne e uomini, tra territori del sud e resto del paese, nonché tra aree interne e centri urbani, e tra giovani e popolazione adulta. Ciascun investimento, riforma o progetto contiene riferimenti ai tre “principi ispiratori” del piano, ma nessuno tiene conto delle interconnessioni dirette tra di essi.

Gli sforzi del Ministro Carfagna di dare all’obiettivo SUD genericamente indicato una sua quantificazione sono apprezzabili. Ma è chiaro che essi non possono essere risolutivi. In linea generale perché un rimedio, come suggerisce lo stesso etimo del termine (derivato dal latino “mederi” che significa curare, medicare) interviene solo dopo e cioè quando il problema si è manifestato. Quindi la sua natura non è strategica, ma tattica. Nello specifico perché non serve un monitoraggio, bando per bando, per misurare la quota Sud, se sullo stesso piatto della bilancia non si pesano le quote giovani e donne e viceversa.

Mi spiego. Le misure del Pnrr associate alle priorità “parità di genere” o “parità generazionale”, sono classificate in base ad indicatori di valutazione, rappresentativi delle condizioni socio-economiche del territorio in cui giovani e donne vivono: tasso di abbandono scolastico, livello di istruzione, offerta formativa, infrastrutture del welfare, tessuto produttivo, etc. Quindi il fattore Sud non è indifferente!

Dall’altro lato quel 40% per le regioni del Mezzogiorno e le isole scaturisce da un calcolo empirico che tiene conto tra i primi dei differenziali democratici che colpisco giovani, donne e categorie vulnerabili.

Un solo esempio: chiedere alle imprese che partecipano ai bandi di riservare il 30% dei posti di lavoro,  derivanti dai contratti finanziati dal Pnrr, alle donne o ai giovani, senza considerare che al sud negli asili nido c’è posto per il 12,4% dei bambini tra 0 e 2 anni e che il lavoro di cura grava ancora in modo quasi esclusivo sulle donne o che il tessuto imprenditoriale al Sud è fatto in prevalenza di microimprese, potrà produrre effetti al Nord, ma al Sud rischia di essere una misura di difficile attuazione.

Le stime di crescita del PIL al 2026 calcolano che il contributo del Mezzogiorno allo scostamento del PIL nazionale nell’anno finale del Piano, sarà di un punto percentuale, mentre, lungo tutta la durata del Piano, il Mezzogiorno contribuirà a circa un terzo dei 15 punti percentuali di PIL nazionale aggiuntivo.

Ma l’attuazione del piano deve essere puntuale ed effettiva, perché la crescita stimata si realizzi.

Se c’è, dunque, una preoccupazione che l’Italia non riesca a raggiungere tutti gli obiettivi entro il 2026, questa non è legata alle fibrillazioni nella maggioranza, che sono null’altro che schermaglie pre elettorali, ma ad alcune incoerenze ed approssimazioni, che possono essere recuperate se, come ha annunciato il capo di gabinetto del Commissario Gentiloni, si pensa di rivedere il piano. Il superamento dei divari territoriali, sociali, di genere e generazionali, in quanto priorità, deve rappresentare una “Super-Missione” con misure dedicate e risorse territorializzate, così come è scritto nel piano (PNRR pag. 40).

Non bandi random, ma investimenti certi.

Avv. Erminia Mazzoni

(Parlamentare Europeo 2009/14)