L’ipotesi di rinegoziare individualmente il PNRR con la Commissione Europea non è percorribile.

Il regolamento europeo, all’art. 21, ha blindato i piani. D’altronde è il primo esperimento di indebitamento europeo. Il rischio di “deragliamenti” andava contenuto e rigidamente disciplinato.

La via è politica. Ed è europea.

L’agenda del nostro premier di giovedì 3 novembre è indicativa per tempi e modalità.

Incontrare il Presiedente del Consiglio, Michel, il Presidente della Commissione VonDerLeyen e il Presidente del Parlamento, Metsola è l’occasione intelligentemente creata per uscire dall’angolo nel quale un ozioso dibattito elettorale ha collocato il nostro paese, per discutere della necessità, comune a tutti i paesi, di rivedere i target di spesa, sia in termini di prolungamento delle scadenze (come ipotizzato dal Commissario Gentiloni) sia con la riprogrammazione di alcuni interventi strutturali. L’aumento dei costi delle materie prime riguarda tutti, così come problema generale è quello legato alla revisione dei prezzi.

Rispetto agli interventi strutturali  si potrà far ricorso altresì all’appoggio dell’Agenda 21/27. I programmi in corso di approvazione sono stati pensati con il vincolo della complementarietà rispetto alla programmazione contenuta nel PNRR. Tale complementarietà permetterà di fasare le opere chiaramente in ritardo per la scadenza del 2026 sulla scadenza del 2027+3.

Ma c’è anche un tema di politica nazionale, legato al PNRR, che il nuovo Governo dovrebbe porsi: la accelerazione degli investimenti nelle regioni del Sud. Per raggiungere l’obiettivo del 40% di spesa nel mezzogiorno è indispensabile che il Governo riveda le procedure di assegnazione delle risorse in particolare per gli interventi affidati ai comuni. Per far questo non c’è bisogno di rivedere gli accordi europei, ma solo di avere la convinzione di cogliere la sfida della uguaglianza dei diritti lanciata dal PNRR portando finalmente a compimento l’attuazione della riforma costituzionale del 2001.

La stessa Corte dei Conti ha definito il PNRR “una sfida complessa per ogni amministrazione pubblica del nostro Paese, che impone anche alle regioni un’attenta riflessione sull’adeguatezza della struttura organizzativa nel sostenere i carichi di lavoro aggiuntivi, fino a riconsiderare le abituali prassi e procedure operative finora seguite nell’ordinario svolgimento delle funzioni istituzionali”.

Perché si realizzi il superamento degli squilibri sociali, delle disomogeneità territoriali e degli svantaggi di genere e generazionali, ai quali sono legati altrettanti obiettivi trasversali del PNRR, è indispensabile che lo Stato si faccia carico di garantire i c.d. Lep – livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi – in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, non trasferendone la attuazione sugli enti locali, peraltro privi degli strumenti necessari. In questa categoria rientrano per esempio asili nido, scuole, trasporti locali, assistenza sociale. Lo Stato non può mettere a bando diritti civili e sociali da tutelare per tutti i cittadini. La modifica dovrebbe prevedere, così come avviene per le opere infrastrutturali, l’assegnazione diretta delle risorse, sulla base di un piano di riequilibrio definito a livello nazionale con la partecipazione dei territori, affidando poi agli enti locali la sola esecuzione, con procedure di evidenza tese a garantire la trasparenza delle attività di conferimento degli incarichi e di realizzazione delle opere.

E tanto, un Governo che fa del concetto di Nazione la struttura portante del proprio agire politico, dovrebbe ritenere prioritario prima di porre mano a un’altra incompiuta costituzionale: l’autonomia regionale. Se non c’è coesione economica, sociale e territoriale i termini regionalismo e nazione collidono.