La spesa si trasforma in investimento.
Dal 2019 al 2022 sono stati impegnati circa 25 Miliardi per la erogazione del Reddito di Cittadinanza.
Secondo i dati dell’Inps, le persone destinatarie del RdC ad agosto 2021 erano 3,5 milioni, poco meno di 1,5 milioni di nuclei familiari. L’importo medio mensile erogato è stato di 579 euro. Di essi, come segnala la Corte dei Conti, coloro che hanno trovato un’occupazione stabile sono stati circa 152 mila.
Ogni posto di lavoro creato con il reddito di cittadinanza è costato, dunque, 52mila euro allo Stato.
Nel contempo gli indici di povertà assoluta e relativa sono aumentati, anche in considerazione della discesa del PIL di quasi un punto e mezzo.
Uno strumento di sostegno alla povertà è doveroso. Ma deve essere anche dignitoso.
Se le risorse vengono annacquate in meccanismi ibridi, le risorse diventano insufficienti.
Confondere povertà e difficoltà lavorativa, è un grave errore.
Il risultato è il disincentivo alla ricerca di un lavoro tra coloro che potenzialmente una occupazione potrebbero trovarla e il depotenziamento dell’azione dello Stato rispetto alle profonde ferite del sistema, che sono causa degli alti tassi di disoccupazione, anche giovanile.
Lo Stato deve intervenire su istruzione e formazione, politiche attive, costo del lavoro, welfare abitativo e mobilità sostenibile. Il Reddito di Cittadinanza rispetto a tutto questo appare una misura pilatesca.
La modifica dello strumento del Reddito di Cittadinanza è, per me, necessaria. Deve, però, essere introdotta immaginando una disciplina transitoria che tuteli il passaggio dei c.d. occupabili percettori di reddito da soggetti in attesa di un posto a soggetti attivi di un sistema continuo formazione-lavoro.
Non mi sembra, pertanto, lunare pensare di utilizzare nel 2023 una parte delle risorse del RdC per coprire il taglio di 3 punti del cuneo fiscale, distribuendolo però tra lavoratore e datore di lavoro, in modo tale che l’aumento in busta paga incida sui consumi e il minor costo del lavoro sia di incentivo per nuove assunzioni.
Il lavoro, o meglio, il “non-lavoro” è il primo problema. Ridurre la platea degli inattivi produce un effetto leva importante su tutti i segmenti socio-economici del sistema.
In tal modo i non occupabili potrebbero percepire un reddito più dignitoso e gli occupabili potrebbero guadagnare più dignitosamente un reddito.