Perequiamo le coscienze, per perequare i diritti.

L’Italia avrebbe bisogna di rigenerare il principio di unità nazionale, prima che i centri urbani.

Le forti reazioni del Nord, all’esito dell’espletamento delle procedure per l’assegnazione di risorse per la Rigenerazione Urbana, sono indice di un insanabile spaccatura. Eppure, da decenni, le politiche europee di coesione e, nei tempi recenti, lo strumento di ripresa e resilienza indicano la via del riequilibrio socio-economico-territoriale, come scelta obbligata verso lo sviluppo e la crescita.

In questa vicenda, incomprensibilmente, anche #DeCaro – Sindaco di Bari nonché Presidente Nazionale Anci – si erge a paladino delle ragioni dei piccoli comuni settentrionali.

Il caso nasce dalla pubblicazione, qualche giorno fa, della graduatoria dei comuni al di sotto dei 15mila abitanti risultati assegnatari delle risorse per la rigenerazione urbana, a seguito del bando di Maggio 2022. 201 i progetti finanziati, a fronte delle circa 5mila domande presentate, con una dotazione di 300milioni di euro.

Il Senato interviene, proponendo in sede di conversione del Decreto Aiuti Ter, con raccomandazione, l’aumento delle risorse e lo scorrimento della graduatoria, perché la storia si ripeta e non ci siano scontenti.

C’è da dire, infatti, che questa è una storia, anche molto recente, già letta.

Il primo bando oggetto della polemica, con il quale sono stati stanziai 3,4 Miliardi di Euro, è una delle misure di rigenerazione urbana previste dal PNRR, destinata ai Comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti. Il bando 2021 aveva premiato, per lo più, i comuni del Sud. La levata di scudi dell’altra parte dello stivale ha portato, ad aprile 2022, alla riapertura dei termini e, dunque, all’allargamento della platea dei beneficiari e al finanziamento di tutti i progetti ammissibili.

Il risultato è che alla fine la bilancia dell’operazione, prima pendente verso Sud, si è spostata a favore del Nord, con i maggiori finanziamenti andati alle Regioni Lombardia e Veneto.

Ma quel che conta di più è che per trovare i soldi necessari allo scorrimento della graduatoria, il MEF è andato a pescare in altri tre Fondi destinati agli investimenti pubblici, all’interno dei quali, successivamente, con una norma inserita nel DL Energia,  è stato previsto il vincolo del 40% delle risorse destinate al Sud, per tamponare la conseguente e inevitabile sottrazione di fondi al Mezzogiorno. I circa 1.000 milioni aggiuntivi, necessari a coprire tutti i progetti dei comuni settentrionali, sono stati raccolti: quanto a 40 milioni dal Fondo per il finanziamento della progettazione definitiva ed esecutiva (istituito dal 2020 al 2034); quanto a 300 milioni dagli stanziamenti per i contributi agli investimenti per opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio e quanto a 565 milioni dal Fondo per investimenti a favore dei Comuni per gli anni 2025-2034, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’Interno.

E’ evidente il cortocircuito politico.

Di primo acchito, si potrebbe dire che se c’è sperequazione tra due aree del paese, questa va governata. Il punto è che tale fenomeno è endemicamente italico ed è la causa della esistenza delle due Italie. Ma, sappiamo tutti, che l’area svantaggiata è il Sud. E quello che si è verificato con i due bandi di cui si discute è proprio l’effetto delle misure applicate per promuovere un riavvicinamento socio-economico tra Nord e Sud. Infatti, il criterio di selezione utilizzato per attribuire i punteggi, è quello dell’IVSM – Indice di Vulnerabilità sociale e materiale – in linea con l’obiettivo di coesione territoriale della misura.

Il PNRR è stato costruito su una impalcatura di target e milestone, tenuta trasversalmente da tre obiettivi: Sud – Giovani – Donne e Soggetti svantaggiati.

Tale costruzione ha subito rivelato la sua fragilità. Difficile era, e rimane, garantire il raggiungimento degli obiettivi trasversali, considerato che essi, in quanto trasversali, a tutte le missioni, non hanno né un budget né tantomeno ad essi si ricollegano target o milestone.

La questione posta all’attenzione generale ha portato all’adozione di alcune misure correttive e di indirizzo, come la famosa indicazione del 40% di limite al di sotto del quale non possono andare gli investimenti al Sud.

La cifra tiene conto di quel 34% di popolazione italiana residente al Sud, valore al quale dovrebbero essere ancorata la ripartizione delle risorse nazionali in conto capitale, e il 47% di territorio nazionale appartenente al Sud, estensione della quale dovrebbe tenersi conto in sede di riparto delle risorse per investimenti.

Indicata la soglia minima da non valicare, si è posto il problema del modo in cui ottenere il rispetto della stessa.

Se, infatti, per le misure c.d. territorializzate (€. 18.385.000.000) il problema non si pone, essendo i relativi interventi già assegnati ai territori; per le misure c.d. territorializzabili (€. 192.182.000.000) la contendibilità nazionale, senza paletti, non consente di garantire che le risorse arrivino al Mezzogiorno. E’ apparso, infatti, immediatamente l’ostacolo delle impari opportunità tra Nord e Sud, in termini di infrastrutture materiali e immateriali, necessarie per competere ad armi pari.

Sono stati individuati, dunque, dei criteri di selezione che tengono conto delle diverse condizioni di partenza. Uno di essi è l’indice di vulnerabilità sociale e materiale, “un indicatore composito costruito attraverso la sintesi di sette indicatori riferiti alle dimensioni della vulnerabilità sociale e materiale ritenute più rilevanti per la formazione di una graduatoria nazionale dei comuni”, utilizzato per la “pianificazione di interventi socio-assistenziali a sostegno delle aree maggiormente esposte agli effetti della crisi economica, soprattutto con riferimento alla presenza di segmenti di popolazione potenzialmente più deboli” e meno resilienti.

Un criterio ineccepibile, ma non per chi ritiene la perequazione sociale ed economica un fattore possibile non necessario.

Tutto questo perché Governo e Parlamento riflettano, prima di dar eventualmente seguito alla raccomandazione approvata nell’aula del Senato lo scorso 17 Novembre.

Se la quota maggioritaria dei comuni ammessi a finanziamento è del Sud lo si deve al fatto che le risorse messe a bando sono dentro la Misura “Inclusione e Coesione” e si riferiscono alla Componente C – Intervento 6 – cui è assegnato l’obiettivo di fornire ai Comuni i contributi necessari per investire nella rigenerazione urbana e ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale, per migliorare la qualità del decoro urbano e il contesto ambientale.

C’è più Sud perché è lì che ci sono maggiori “situazioni di emarginazione e degrado sociale” sulle quali agire.

L’ingiustizia non è tentare di assegnare oggi più risorse al Mezzogiorno, ma non averlo fatto in passato, lasciando che lo stato di arretratezza fosse causa ed effetto della stessa.

Voglio ricordare che l’Italia del Sud attende, almeno dal 2001, che lo Stato eserciti la propria potestà legislativa esclusiva in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (Art. 117, comma 2, Cost.) perché tutti i cittadini italiani abbiano asili, scuole, trasporti, assistenza sociale e sanitaria uguale.