Il Meccanismo Europeo di Stabilità, mi piace ricordarlo, è un’entità non commerciale intergovernativa, i cui azionisti sono gli Stati membri dell’area euro ed è guidato dal cosiddetto Consiglio dei Governatori, formato dai ministri delle Finanze di ciascuno stato membro, e presieduto dal presidente dell’Eurogruppo. Le decisioni, incluse quelle relative alla concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i paesi che la ricevono, vengono adottate all’unanimità. Quindi per sintetizzare, il Mes non è una istituzione europea, ma può intervenire sulle situazioni di squilibrio economico finanziario degli stati, entrando dentro la gestione economica nazionale, anche irrogando sanzioni finanziarie. Perché, si badi bene, se è vero che normalmente il Consiglio adotta all’unanimità tutte le principali decisioni, è pur vero che, in caso di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro, la Commissione europea e la Bce possono richiedere che l’assunzione di decisioni urgenti avvenga a maggioranza qualificata dell’85 per cento del capitale. Credo non faccia bene fare confusione e disinformazione sul punto. Il Governo Meloni, il primo Governo politico dal 2010, ha il diritto- dovere di non dare per scontata la condivisione delle modifiche del regolamento istitutivo del Mes. Perché non è in discussione l’adesione, ma la revisione di alcune regole di funzionamento, relative al potere di intervento del Mes nelle politiche nazionali, e il pacchetto di condizionalità macroeconomiche applicabili agli stati fuori controllo. Legittimo che un fondo, perché tale è il Mes, prima di dare soldi, chieda garanzie. Ma altrettanto legittimo che lo stato, come ogni singolo contraente farebbe, valuti la convenienza di tale indebitamento. Anche perché sono i cittadini a pagarlo. Alimentare una rottura dell’equilibrio della maggioranza, partendo dalla comunicazione al Parlamento, scritta dal gabinetto del ministro Giorgetti è largamente speculativo. Il documento è tecnico e analizza le parti di competenza, lasciando in bianco le conclusioni, che la parte politica è chiamata ad assumere. Scrive, infatti, il Gabinetto del Mef: “Per quanto riguarda gli effetti diretti sulle grandezze di finanza pubblica, dalla ratifica del suddetto accordo non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità del 2012”. Questo significa che, avendo l’allora Presidente del Consiglio, Mario Monti, autorizzato la sottoscrizione del capitale del Mes per 125,3 miliardi, tale rimane l’esposizione dell’Italia oggi, al netto dei circa 14 miliardi già versati. Quel che cambierebbe, in virtù delle modifiche che si intende apportare, è che il Mes potrebbe chiedere il versamento delle restanti quote di sottoscrizione, cioè circa 111 miliardi di euro, all’Italia. Si legge, poi, nel documento del Ministero: “È possibile che la riforma del Mes, nella misura in cui venga percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea, porti una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri aderenti con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia.”. Nulla di straordinario. Il Mes ha l’obiettivo di fornire prestiti di primo soccorso, a tassi di interesse ragionevoli e sostenibili, ai paesi che hanno perso l’accesso al mercato finanziario. Quindi “la migliore valutazione del merito creditizio” dello Stato è parte integrante dell’accordo, né più né meno. Poco o niente dice il gabinetto in merito agli effetti finanziari indiretti, che lascia alla politica. E questo è un punto dirimente. L’Italia, per finanziare il fondo, fino al 2015, ha fatto ricorso all’emissione di titoli pubblici per 14 miIiardi di euro. Il nostro paese ha fatto, quindi, all’epoca, nuovo debito pubblico, autorizzato a tanto dal regolamento del Mes. È naturale che, oggi, l’Italia dovrebbe fare altrettanto. Il Mef non calcola il costo degli interessi passivi da pagare sull’indebitamento. E non ha neanche offerto dati sul rendimento del fondo in questi 8 anni, per valutare se la partita italiana, tra interessi passivi pagati sul debito e interessi attivi sul capitale versato al Mes, sia positiva o meno. Il momento che viviamo è molto delicato, sia sotto il profilo economico-sociale che geo-strategico, la comunità internazionale e con essa i mercati sono fluidi. Davanti abbiamo il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr, che comporta altro debito. Assumere su di sè ulteriori oneri è decisione delicata. Ho visto, nel 2010, con favore l’istituzione di un Meccanismo, che, accorpando i due fondi di assistenza preesistenti, intervenisse in sostegno degli Stati in difficoltà, ma, allora come oggi, dico che la delega di poteri a un organismo terzo, non commerciale, ma non istituzionale nè assistito da un modello di vita democratico, possa essere concessa a condizioni ben precise, che sembrano mancare nella proposta di modifica, che il nostro stato dovrebbe accettare. Trovo ancora attuale la risoluzione del Parlamento Europeo n. 14 del 23.03.2011, nelle parti in cui segnalava l’attenzione di Commissione e Consiglio a considerare “che il progetto di decisione del Consiglio europeo (i.e. Regolamento istitutivo del Mes), se adottato, potrebbe sfociare nella creazione di un meccanismo completamente al di fuori della sfera dell’Unione, senza che alle istituzioni dell’Unione in quanto tali sia affidato alcun ruolo”, “che il meccanismo europeo di stabilità dovrebbe essere accompagnato dal rafforzamento della parte preventiva e correttiva del patto di stabilità e crescita e da misure concernenti la competitività a medio e lungo termine e volte ad affrontare gli squilibri macroeconomici tra gli Stati membri”, “che la politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro è una competenza esclusiva dell’Unione ed è una politica comunitaria sin dal trattato di Maastricht” e a tenere conto, inserendo i necessari correttivi, “che l’intenzione di istituire il meccanismo permanente di stabilità al di fuori del quadro istituzionale dell’Unione europea costituisce una minaccia per l’integrità del sistema basato sui trattati, non prevedendo la partecipazione di alcuna istituzione europea agli organi del Mes”. Invito, quindi, ora come allora, il Parlamento italiano, senza distinzione di parti, a non considerare il Mes una delle tante bandiere da agitare contro il nemico politico.