Opinionista:

Ottimo il risultato del Governo. La rata ottenuta è una boccata d’ossigeno, l’aggiustamento al piano faticosamente raggiunto è un’efficace toppa ai buchi prodotti al 31 dicembre scorso. Ora però non c’è tempo da perdere. Le difficoltà che hanno portato a tale situazione restano aperte e vanno affrontate con la stessa determinazione usata in questa trattativa con Bruxelles. Mancano al nostro Paese, sia a livello centrale che locale, risorse umane e un sistema amministrativo funzionante. Manca altresì la capacità di concertare, includere, dialogare, collaborare. Essere, in altre parole, un sistema organizzato ed efficiente. Da sempre in affanno nell’annoso tentativo di diventare padroni della differenza tra spesa e investimento, il Pnrr ci ha messi di fronte alla necessità di distinguere anche tra impegni e pagamenti. La questione a noi risulta ostica. Lo conferma la reazione critica alla traslazione dei fondi per gli studentati e allo slittamento delle scadenze per gli asili, azioni che comportano non la perdita di risorse ma la possibilità concreta di investirle. La logica diffusa è che sia preferibile esporre possibilità di spesa che realizzare opere. Le deludenti performance del nostro territorio e gli scarsi output di risultato dimostrano, di contro, che avere le risorse finanziarie non basta. Avremmo dovuto portare al traguardo 23 riforme e 32 investimenti, ma così non è stato. Si è reso necessario, dunque, aprire il negoziato tra governo e Commissione Ue per la rimodulazione del piano, che dovrà concludersi entro il 31 agosto prossimo. L’idea del ministro di riorganizzare target e obiettivi fasando il Pnrr su Agenda 2021/27 e RepowerEu è una intelligente soluzione per preservare la programmazione, non rinunciare alla visione del piano, evitare di indebitarsi a rischio, guadagnando quei necessari margini di flessibilità che le regole del Pnrr non concedono. Le motivazioni oggettive per accedere a tale tipo di operazione ci sono tutte. I ritardi accumulati possono essere ascritti a cause di forza maggiore non prevedibili. Al pacchetto toglie forza sola la consistenza di un paese disunito, da una politica spicciola e litigiosa. Nella speranza che chi deve capisca che non ci si divide sulle grandi sfide del paese, soprattutto se nascono in continuità con le esperienze dei governi precedenti, è cosa buona comunque parlare di quanto c’è da fare. Mentre la difficoltà di corrispondere ai bisogni essenziali di una comunità, con un sistema pieno di incrostazioni (burocrazia, fragilità amministrativa, confusione normativa, debiti, inadempienze), è evidente al punto tale da poter essere giustificativa. La sfida della straordinaria amministrazione, offerta dalla gran mole di risorse che affluiscono nelle casse pubbliche, non ha invece attenuanti. La incapacità di cogliere le opportunità che vengono dai diversi strumenti di programmazione straordinaria, in questo particolare momento più ricchi e anche più flessibili, richiede doti di creatività, visione, organizzazione e concretezza. Valori che sicuramente ci appartengono, ma che non sfruttiamo per un indolente abitudine a occuparci di gestione trascurando la programmazione. I drivers di sviluppo Sociale e salute, Ambiente e sostenibilità, Trasformazione digitale e rafforzamento amministrativo, Cultura e turismo e Rigenerazione urbana e legalità – che si ricavano dal combinato disposto degli strumenti finanziari a disposizione, indicano, da tempo, la strada della rivoluzione delle città, delineando la filosofia di una nuova economia urbana. Il suo presupposto sta nella percezione del benessere dell’abitare, inteso come il complesso degli elementi che qualificano un’area in base al grado di accessibilità ai servizi essenziali di trasporto, sanitari, abitativi, culturali, scolastici, nonché al livello di sostenibilità ambientale, alla sicurezza e alle opportunità di lavoro e di crescita, e il suo sviluppo si basa sul superamento della prassi dell’intervento “puntuale” per rispondere alla complessità dei bisogni. Non serve costruire un ponte dove non ci sono strade! E non si sfama con il pane chi non ha i denti. Se non facciamo scendere in campo l’esercito che abbiamo già pronto per attuare il cambiamento, in attesa di formarne uno nuovo non potremo arrivare in tempo alle scadenze. L’accelerazione di immissioni di nuove competenze all’interno della Pubblica amministrazione non sarà utile a questa sfida. Ci preparerà ad affrontare quelle future. Adesso serve la promozione di una sana cooperazione pubblico-privato, in grado di assicurare ampi processi di partecipazione degli attori economici e della società civile e di facilitare il dialogo tra Istituzioni e cittadini. Tale approccio risponde alla necessità di programmare con consapevolezza e di sopperire alle carenze dell’apparato della Pa con l’apporto delle parti sociali, come il Pnrr esplicitamente ci spinge a fare. Indicando, peraltro, uno strumento che è da tempo previsto e disciplinato, ma mai adeguatamente utilizzato. “I poteri pubblici”, si legge nell’art. 118 ultimo comma della Costituzione, devono favorire “le autonome iniziative dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”, perché essi collaborino responsabilmente con l’amministrazione nel perseguimento dell’interesse generale e nella cura dei beni comuni. Sul punto vi è la necessità di superare il pregiudizio generale verso l’apporto di energie private nel pubblico. C’è bisogno di un’alleanza comune tra investitori e istituzioni, che metta a terra tutti i progetti in tempi certi, facilitando processi decisionali collaborativi. È sterile alimentare una contrapposizione tra Governo, Regioni e Comuni e soprattutto rivendicare maggiori risorse quando non si è in grado di spendere quelle che si hanno in cassa. Il contributo che si può e si deve dare risponde all’esigenza di superare l’esperienza della frammentazione delle idee e della spesa e tendere alla rigenerazione culturale oltre che fisica del paese. Per realizzare una programmazione efficiente degli interventi e degli investimenti funzionali ad essi, devono essere ben chiari gli obiettivi. Per raggiungere gli obiettivi non si può più prescindere da un profondo coinvolgimento di tutti gli attori del territorio, perché il disegno delle città rappresenti il sentimento di chi la vive e valorizzi le energie proprie. Il modello che si propone ha l’ambizione di responsabilizzare la comunità rendendola parte attiva dei processi. L’idea è mettere a sistema il complesso impianto di norme, regolatorie e finanziarie, formulando ipotesi concrete di azioni partecipate. In Campania, grazie a questa ripartenza, si dovrebbe ritornare alla battaglia antica della nostra regione che recupera al territorio la sua dimensione storica di hub del Mezzogiorno e del Mediterraneo. Con la riprogrammazione del Pnrr non abbiamo perso nulla; abbiamo anzi guadagnato l’occasione per affinare le nostre prospettive. Fondi per porti, aeroporti, strade, dighe, acquedotti, scuole, asili, infrastrutture digitali, infrastrutture sociali e di welfare sono lì che aspettano di essere utilizzati bene. L’obiettivo del miglioramento della vita dei cittadini, della riduzione del divario di cittadinanza e della garanzia dei diritti civili e sociali a tutti i cittadini, da Nord a Sud, delle zone costiere e delle aree interne, chiede alla politica di qualificarsi sui risultati non più sulle promesse e sulle chiacchiere.