Una politica senza ideali e un elettorato molecolizzato. Cosa sia nato prima non è possibile dirlo con certezza. La mia opinione, che poggia su un forte senso di responsabilità delle istituzioni e di chi si candida a rappresentarle, è che è sempre chi guida che deve tenere d’occhio la strada e non perdere il controllo dell’auto. La crisi identitaria delle formazioni politiche ha prodotto la nascita dei partiti nominalistici, leaderistici, personalistici. Il rimescolamento dei bisogni, frutto di una società povera di risorse e di opportunità, ha dato vita a un mondo di singoli non più aggregabili in categorie da rappresentare. I grandi partiti, Dc e Pci, del Novecento avevano in comune la rappresentanza di interessi collettivi, espressione di categorie sociali definite. I partiti più piccoli, Liberali, Repubblicani, Socialisti, esprimevano dei modi di ricercare soluzioni ai bisogni. Oggi la ricerca del consenso si basa su un rapporto B2B. E questo riduce il voto a uno scambio e la visione a una immagine effimera. La questione non è filosofica, ma dannatamente reale. Se non riprendiamo a parlare di valori e di riorganizzazione dei bisogni su scala sociale, la politica resterà un luogo da arrembare e depredare e i bisogni continueranno ad alimentare disagio e con esso violenza. I giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno vissuto solo le formazioni liquide nate negli anni ‘90 e l’imbarbarimento delle istituzioni, sono in maggioranza scettici rispetto alla democrazia, che nasce da libere elezioni. Due sondaggi paralleli, svolti da Afrobarometer e da Open Society Foundation, giungono alla stessa triste conclusione. Il dato si riprende se si considera l’intera platea degli intervistati, per Ocf circa 36mila persone in 30 Stati. La democrazia è il sistema maggiormente prescelto. Salvo poi a perdere posizioni se la domanda riguarda la risposta alla inefficienza e, ancor più, alla incompetenza e alla disonesta dei governanti. In questo caso il campione interpellato indica la via del potere militare. Tutto questo a cosa conduce? All’imbarbarimento dei rapporti. Guerre, violenze, vite dissolute, criminalità, corruzione, degrado sociale, povertà sono tutte conseguenza dell’assenza di regole sociali condivise. La ripartenza è una rifondazione che passi attraverso l’esempio dall’alto e la educazione dal basso. La democrazia ha bisogna di una classe dirigente nella quale il popolo possa riconoscersi. Una rappresentanza autorevole più che autoritaria. E ai giovani è necessario dare strumenti morali e materiali sui quali fondare la propria crescita e la fiducia nel futuro. La società deve ritrovare una piattaforma di valori da condividere. Le differenze per alimentare un sano confronto la faranno le idee e la loro capacità di risposta ai problemi. Lo scontro al quale ci ha abituati la politica degli ultimi decenni è la manifestazione dello stato comatoso nel quale versa la nostra democrazia. L’improduttività del sistema è la prova più evidente di quanto questo metodo sia dannoso per ciascuno di noi. Non è mai tardi per ricominciare. La democrazia non è uno stato acquisito, ma un processo che si conquista giorno dopo giorno.
Opinionista: