Opinionista:

In questi giorni in cui si fa tanto parlare di abbattimento delle barriere di genere e di aiuto alla maternità nonché di promozione di condizioni di uguaglianza sul piano del diritto al lavoro, a un’equa retribuzione e alla progressione di carriera, mi corre l’obbligo di segnalare a Governo e Parlamento un odioso caso di strabismo politico-istituzionale. Cosa accade nel nostro sistema garantista ed egualitario? Accade che una giovane donna in attesa di un figlio e vincitrice di un concorso da Vice Ispettore nella Polizia di Stato deve rinunciare ai propri diritti perché un contraddittorio groviglio di norme le impone, se vuole diventare madre, di fermarsi e ritornare alla casella di partenza. Un’allieva Ispettrice della Polizia di Stato, tale in quanto vincitrice di concorso, è obbligata, prima della immissione nel ruolo, a seguire un corso di formazione. In caso di maternità durante tale pratica di formazione, la donna può assentarsi per un periodo non superiore a 90 giorni, pena la dimissione dal corso stesso. In caso di superamento di tale termine, la allieva, in base ai regolamenti della Polizia di Stato, perderà, dunque, il diritto a completare il percorso formativo e potrà essere ammessa a frequentare il primo corso successivo, dovendo sostenere nuovamente le prove di esame già sostenute e superate. Recita infatti il vademecum per l’allievo nella parte delle dimissioni dal corso: “Gli allievi vice ispettori di sesso femminile, la cui assenza oltre novanta giorni è stata determinata da maternità, sono ammessi a partecipare al primo corso successivo ai periodi di assenza dal lavoro previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri”. Dal momento che la normativa nazionale vigente in materia prevede che “La lavoratrice madre ha diritto ad un periodo di 5 mesi di congedo di maternità” e che l’astensione è obbligatoria, è evidente che il povero “allievo di sesso femminile” (Sic!) sarà inevitabilmente dimesso dal corso. La maternità non può comportare che l’allievo di sesso femminile non possa completare il corso, dovendo invece attendere per un tempo indefinito che venga aperta una nuova procedura, limitando così anche la sua partecipazione ad ulteriori concorsi per l’avanzamento di qualifiche. La Corte Europea si è già pronunciata sulla questione, affermando che la prevista dimissione automatica dal corso, in caso di maternità, non è equa e viola il principio di proporzionalità. Sostiene infatti il giudice comunitario che l’articolo 15 della direttiva 2006/54 “dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo, del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento”. Sarebbe invece equo, secondo la CGUE, l’applicazione di “misure meno lesive, come la possibilità di organizzare per la lavoratrice che rientra da un congedo di maternità, corsi paralleli di recupero equivalenti a quelli inizialmente dispensati”. Con una provocazione direi che sarebbe equo equiparare la maternità a una malattia e ammettere le donne in congedo di maternità alle stesse deroghe previste in caso di malattia, durante il corso. Il regolamento prevede che “Le prove teoriche possono essere svolte anche con modalità telematiche e decentrate. In tale caso la Commissione Unica di esame si avvale di personale dell’Ispettorato delle scuole della Polizia di Stato per l’assistenza tecnica necessaria a garantire il regolare svolgimento della stessa”; “Gli allievi giudicati temporaneamente non idonei ai compiti di istituto per motivi di salute, possono essere ammessi a sostenere gli esami e le altre prove previste dal piano degli studi, se compatibili con la natura della malattia da cui sono affetti, a giudizio del titolare dell’ufficio sanitario dell’istituto o di un medico della Polizia di Stato”; “Gli allievi che, per malattia o per altro grave motivo accertato dal Presidente della Commissione di esame, non abbiano potuto partecipare agli esami, sono ammessi a sostenerli in sessione straordinaria”. Vedo in questa situazione un’abnorme applicazione di vari principi costituzionali, a partire da quello sulla promozione di misure a tutela della maternità, previsto dall’art. 31, del principio di pari opportunità, garantito dall’art. 51, di uguaglianza, art. 3, e della garanzia del lavoro, di cui agli artt. 1 e 4. Lo Stato ha il dovere di intervenire per fare chiarezza e restituire legittimità al sistema. Non può e non deve lasciare alla Magistratura tale compito. La soluzione offerta dalla Corte Europea la ritroviamo, infatti, in diverse pronunce dei giudici amministrativi, ai quali le vittime di tale iniqua disciplina si sono rivolte. In tal modo si avrà un “diritto del caso singolo”, che lede alla base le fondamenta dello stato di diritto.