Opinionista:

Sulla scivolosa questione della mancata firma dell’Accordo di Coesione tra Regione Campania e Governo credo sarebbe più efficace fare appello alla sapiente arte della mediazione, più che portare il conflitto in una aula di tribunale. Lazio, Liguria, Marche, Lombardia e Veneto hanno firmato. Tra di esse nessuna Regione del Sud e tutte a guida centrodestra. Legittimo un sospetto, ma non basta a fare un processo, anche di fronte al silenzio del ministro Fitto. La scelta giudiziaria fa torto alla dignità della politica e non risolve certo il problema posto. La Campania secondo il Rapporto Istat sul Benessere dei Territori (Rapporto BesT) è purtroppo ancora sui livelli più bassi della media Ue in settori nevralgici: istruzione, formazione, lavoro, conciliazione tempi di vita, politica e istituzioni, innovazione, ricerca e creatività. L’urgenza è operare, non litigare. Per fare chiarezza, serve capire di cosa si parli realmente, data la molteplicità dei fondi esistenti, con relativi acronimi (a volte impronunciabili) e la complessità dei processi e dei percorsi che accompagnano le scelte di assegnazione di essi. Nel caso dell’ Fsc (Fondo di Sviluppo e Coesione) un tempo Fas (Fondo per le Aree Sottoutilizzate), si tratta di risorse nazionali, inizialmente gestite dal Ministero dell’Economia e poi passate alla gestione del Presidente del Consiglio, che vengono assegnate, prevalentemente, per rimuovere gli squilibri economici e sociali e, in parte, per garantire il cofinanziamento delle agende di coesione europee. Pertanto l’Fsc viene, o almeno dovrebbe essere, allocato per l’80% alle Regioni del Sud e per il 20% alle restanti e deve essere utilizzato esclusivamente per investimenti in aree tematiche coerenti con la programmazione europea in corso. Per questa sua destinazione esso ha una previsione pluriennale e segue le sorti della spesa dei fondi strutturali. Nella prima fase il Fondo era assegnato al Ministero dell’Economia e da questo assegnato in base a singoli atti programmatori provenienti da altrettanti enti beneficiari – regioni, province, città metropolitane, comuni. La intuibile difficoltà di governare un simile sistema ha portato dal 2021, con la legge di bilancio n. 178/2020, alla riorganizzazione su scala regionale degli interventi, con la introduzione dei Psc (Piani di Sviluppo e coesione), approvati, coordinati e monitorati da una Cabina di Regia Nazionale. Invece delle migliaia di atti programmatori si è giunti a 43 Piani. Lo stato di avanzamento della spesa però non ha segnalato significativi miglioramenti. Con il Pnrr si sono manifestate ulteriori esigenze di coordinamento e riordino, cui il governo ha dato risposta introducendo gli Accordi di Coesione. Il nuovo strumento ha di diverso e di nuovo rispetto ai precedenti piani che la stipula degli accordi e la conseguente assegnazione delle risorse è subordinata al raggiungimento delle Ovg (Obbligazioni Giuridicamente Vincolanti). Quindi non è corretto accanirsi contro la centralizzazione del sistema, che non è di questo Governo, ma è serio concentrarsi sulla condizione di efficienza della spesa. La lentezza nella firma degli accordi nasce dal fatto che le risorse del Fsc 2014/20 nell’ultimo monitoraggio 2023 risultano impegnate per circa il 40%. Pertanto, il Governo, pur avendo approvato, con la delibera Cipess n. 25/2023, il riparto del Fondo di circa 32 miliardi, che prevede per la nostra regione 6,5 miliardi di Euro, non ha liberato le somme in attesa della chiusura delle operazioni del Dipartimento per la Politica di Coesione sul Fsc 14/20. È plausibile pensare che lo stallo quindi possa essere ricondotto, più che a partigianerie, all’affanno in cui si trova il Ministero della Coesione nello svolgere le operazioni di verifica, diventato nel frattempo un superministero, e alle difficoltà con cui si confrontano le regioni, impegnate nelle complesse attività di chiusura dell’Agenda di coesione 2014/20. Questo non giustifica i ritardi, ma li rende comprensibili e di conseguenza affrontabili. Invitano a un atteggiamento positivo i risultati ottenuti in sede europea. L’Italia, insieme ad altri paesi in ritardo sulle scadenze della programmazione europea, ha ottenuto la proroga della rendicontazione dei fondi 2014/20 dal 31.12.2023 al 31.12.2025 e l’azzeramento del cofinanziamento nazionale, con l’effetto di ridurre la spesa da rendicontare alle sole risorse europee. Su questo quadro di nuove opportunità si possono utilmente concentrare le energie degli uffici preposti e le speranze dei cittadini. Le guerre spaventano gli operatori economici regionali e disincentivano gli investimenti esterni. A perderci sono sempre i cittadini e i territori.