Opinionista:

L’annuncio della decisione del giovane artista Sangiovanni, all’apice della carriera, di prendersi una pausa per ritrovare l’equilibrio perso ha scatenato dibattiti e analisi socio-psicologiche, su tutti i canali. Su quelli social si scopre l’esistenza di un numero elevatissimo di esperti della materia. Sulle reti più tradizionali fioriscono i tristemente consapevoli (inascoltati). Il disagio giovanile è diventato, anche, immediatamente oggetto di proposte di legge e scalato la graduatoria delle promesse elettorali nei comizi sardi. A tutto questo siamo oramai abituati. Tutto dura il tempo d’un già cinguettio, oggi X. Il fenomeno, categorizzato genericamente come burnout con consueto inglesismo identifica lo stress da “prestazione”, quello per intenderci da eccesso sfidante. Lascia fuori, però, la platea dei giovani in cerca di futuro, che vivono l’angoscia dell’incertezza. Questi sono quelli che rimangono imbrigliati nell’ingorgo scuola-formazione-lavoro, mai diventato in Italia un ciclo continuo virtuoso a causa di due difetti atavici: conservatorismo educativo e assenza di dialogo con il mercato del lavoro. Quindi i giovani vengono lasciati senza guida proprio nel periodo in cui aumentano le incertezze, quello tra i 18 e i 30 anni, quando si ha il passaggio all’età adulta e alle responsabilità ad essa connesse. Le due manifestazioni di stress si diversificano anche geograficamente. I giovani colpiti da burn out sono prevalentemente al Nord. Gli altri sono meridionali. Meno studiati questi ultimi, perché la loro patologia viene archiviata con un superficiale giudizio di indolenza. Eppure basterebbe guardare al fenomeno migratorio dal Sud verso il Nord per rendersi conto che in realtà il problema è sociale non individuale e che lo stress da incertezza del futuro è una sindrome grave quanto l’altra. Tolta la quota parte di giovani che accettano anche dal Mezzogiorno la sfida della mobilità, restano i migranti per necessità. La maggioranza dei giovani migranti parte dal Sud, dove maggiori sono le difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro e la rigidità del sistema, che limita le progressioni di carriera, e dove i salari sono più bassi e l’impatto dell’inflazione sui redditi delle famiglie è quasi doppio rispetto al Nord. L’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. E la tendenza non è destinata a migliorare nel breve periodo perché, per dirla con Vito Teti nel suo Terre di Pane, i ritornanti sono pochi e perchè “gli stessi svantaggi che invogliano i giovani italiani a cercare altrove migliori opportunità, scoraggiano quelli di altri paesi europei a venire nel nostro sud. Dinamiche queste che influenzano fortemente le politiche demografiche e determinano il crescente spopolamento del nostro Sud. Quindi, al netto del disagio emotivo e relazionale, che ha un suo peso specifico, per sostenere la resilienza giovanile, servono politiche affidabili e stabili, capaci di garantire la prospettiva. Politiche mirate di formazione e lavoro, di sostegno duraturo alle nuove famiglie, di defiscalizzazione, di promozione del trasporto pubblico e dei servizi, di promozione della cultura del lavoro e della mobilità economicamente sostenibile. La perdita di capitale umano, oltre a limitare la natalità di popolazione e imprese, riduce il potenziale di innovazione e crescita determinante per costruire il futuro. Le importanti azioni previste nel Pnrr in questo ambito e, in particolare, per i Neet (i giovani Not in Education, Employment or Training, ovvero coloro che non studiano e non lavorano), purtroppo, anche nell’ultimo rapporto presentato in questi giorni, mostrano progressi ancora molto modesti. Non è proprio il momento per cedere alle pressioni di chi vorrebbe eliminare dai criteri per l’ammissibilità dei progetti da finanziare la riserva per giovani e donne con la cosiddetta norma “dribbla quote” al quarto Decreto Pnrr. Per sperare nella ripresa del Paese non dobbiamo dimenticare che tutti gli scenari indicano la strada dell’investimento su Sud, giovani e donne, dai quali passa la necessaria resilienza, che è la capacità di ammortizzare l’onda d’urto della lunga crisi economica che ci ha investiti.