Opinionista:

Quello che sta accadendo nelle regioni impatta sulle elezioni europee e non solo. Oggi la Liguria, ieri Piemonte, Puglia, Sicilia, sono le realtà colpite da rumorose intraprese giudiziarie nel giro di pochi mesi. Sebbene tutti dicano che i processi si debbano celebrare nelle aule di giustizia, ognuno commenta e giudica.  I partiti soprattutto ne approfittano per innescare un poco dignitoso gioco delle parti, contrapponendo un preteso garantismo a chi rispolvera i forconi, senza la capacità di guardare al di là delle prossime elezioni. L’intreccio tra amministrazione della cosa pubblica e gestione dell’azione giudiziaria è ben più radicato di una campagna elettorale. La sua trama è fatta di debolezza della politica, di mancate riforme del processo e di complicità mediatica. Il risultato è quel velo di incertezza che separa i cittadini dagli eletti, sollevando preoccupazioni sull’esercizio del potere in alcuni ruoli, come quello del Presidente di Regione. Il dibattito sul terzo mandato, che ha assunto inizialmente connotazioni ideologiche e poi accenti pretenziosi, in questo clima diventa una bomba. Il limite alla eleggibilità è fondato, secondo la Corte Costituzionale, su “motivi di pubblico interesse”, vale a dire assicurare “la libera e genuina espressione del voto popolare, nonché la primaria esigenza della autenticità della competizione elettorale”. Con l’introduzione della elezione a suffragio universale diretto, a far data dalla entrata in vigore della legge costituzionale n.1 del 1999, al Presidente di Regione è stato, infatti, assegnato il poteredi nomina e di revoca degli assessori, la facoltà di dimettersi e di decidere lo scioglimento della Giunta e del Consiglio. Tali attribuzioni hanno reso il Presidente eletto “l’unico soggetto esponenziale del potere esecutivo nell’ambito della Regione” e hanno conferito alla sua attività un indiscutibile carattere di “decisività e di gestione attiva della cosa pubblica”, che la Corte ha ritenuto “requisiti essenziali al fine di configurare ragionevolmente il pericolo che una determinata carica pubblica possa essere utilizzata per acquisire illecitamente consensi elettorali.”. La previsione della non rieleggibilità del presidente di regione allo scadere del secondo mandato rappresenta dunque una “misura preventiva” rispetto a possibili usi deteriori del potere acquisito nei 10 anni di gestione. Su tali presupposti si innesca il filone giudiziario che ci sta accompagnando, trovando terreno fertile nella “presunzione di colpevolezza” che la Corte sembra insinuare con le sue pronunce. Le ipotesi di aggiramento della disciplina sulla ineleggibilità per la terza volta di un presidente di regione, fiorite negli ultimi tempi, assumono la fisionomia dell’innesco per far deflagrare l’ordigno. Al di là di come finiranno le inchieste, per le quali l’auspicio è sempre quello del trionfo della “Giustizia”, questo Governo dovrebbe pensare che essere il primo governo “politico” da circa 20 anni gli assegni il compito di affrontare, primo fra gli altri, il problema della ricostruzione di quell’iniziale equilibrio tra poteri dello stato, che qualificava il rapporto tra gli stessi in termini di utile collaborazione in vista della comune finalità del perseguimento del bene comune.