Siamo tutti concentrati sulle cosiddette materie Lep e non poniamo la dovuta attenzione al dato complessivo. Che siano 9 o di più le materie non Lep poco importa. Quel che conta è che la legge sull’autonomia regionale differenziata non disegna un paese più efficiente nè tantomeno più uguale, perchè essa attua, senza una visione, il “nuovo” Titolo V della Costituzione, dopo 23 anni dalla sua riforma. Ci sarà un perché se neanche i suoi padri l’abbiano mai voluta tradurre in realtà. Gli ulivisti, all’epoca guidati da Romano Prodi, negli anni successivi, pur essendo al Governo, non hanno fatto passi in tale direzione. Dopo la timida disciplina del federalismo fiscale, con la legge delega n. 42/2009, pochi e disorganici sono stati i decreti approvati per spostare fattivamente le funzioni e i servizi pubblici, così come l’imposizione fiscale, dallo stato agli enti territoriali al fine di avvicinare al cittadino la sede politica in cui vengono prese le decisioni. E da allora sono trascorsi 15 anni. La tempistica rivela due cose: la riorganizzazione dello stato nazionale in forma decentrata non convince la maggioranza del paese e il suo periodico riproporsi risponde a una esigenza elettorale e non funzionale. Da tanto deriva che l’approvazione della legge “Calderoli” deve essere oggetto di analisi politica senza inutili allarmismi, perché prima che diventi realtà passeranno altre campagne elettorali, cui sarà strumentale la sua promessa e non la sua realizzazione. Detto questo, dubbia è la possibilità di partire, come pretenderebbe il Veneto, con una prima attribuzione parziale. Non è vero che le materie non Lep non pongono problemi. Ci sono, per esempio, gli obblighi di armonizzazione con la normativa Ue da rispettare. Come si possono trasferire i rapporti internazionali e con l’Ue, materia tra le 9 definite Non Lep, senza rinegoziare le procedure europee? Oggi sono ancora gli Stati i soli legittimati a definire con gli organismi europei le politiche agricole, di coesione, del mercato interno, di bilancio e fiscali. In definitiva, il credo che attuare il titolo V della Costituzione non sia un attentato. E che avversare la legge con le barricate non serva. Politicizza il confronto su questioni serie e le indebolisce. Il Parlamento ha introdotto nel testo condizioni qualificanti come il “rispetto dell’unità nazionale.. dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei princìpi di indivisibilità e autonomia… dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione”. È su questa impalcatura che si definiranno le intese Stato-Regioni e la strada non sarà facile. Ma non è di ostacoli che il paese ha bisogno, bensì di coesione e visione. Più che proporre un referendum abrogativo, peraltro di dubbia realizzabilità, si dovrebbe fare del dibattuto sul regionalismo un’occasione per migliorare l’efficienza delle autonomie territoriali, utilizzando gli strumenti che la stessa legge offre per sgomberare il campo da paure secessioniste e ottenere finalmente la regolamentazione di validi meccanismi di perequazione sociale tra le diverse aree del paese, basati su standard uniformi determinati sul principio dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini.