La legge quadro sul Regionalismo differenziato non mi agita più di tanto, perché, come ho già detto in altra occasione, ne vedo lontana la sua entrata in funzione e colgo in essa più la strumentalità del tema che la concretezza dell’obiettivo. Il dibattito su di essa, però, mi appassiona perché mette in luce aspetti di interesse sulla nuova psicologia della politica. Approvata la legge quadro, il campo di gioco si è spostato ed è diventata protagonista la Consulta. Dopo un passaggio parlamentare, che ha visto banalmente contrapposte, per definizione più che per convinzione, maggioranza e opposizioni, oggi lo scontro ha assunto caratteri geografici. Al Sud le reazioni, più o meno forti in ragione dell’appartenenza politica, indicano la strada del referendum abrogativo.
Ma l’iniziativa del Presidente De Luca di promuovere un referendum popolare per l’abrogazione della legge Calderoli, secondo alcuni, non sarebbe ammissibile. La discussione che si è aperta definisce un quadro più politicizzato che politico. Ed è per questo che quella che poteva apparire ai più una questione scontata ha invece stimolato la produzione di tesi accademiche contrapposte, che hanno aperto il varco all’incertezza. I dubbi non hanno però condizionato il voto nel Consiglio regionale della Campania. Sulla battaglia all’autonomia differenziata si è, al contrario, coagulata una maggioranza allargata anche ai 5Stelle, che ha deliberato l’avvio del procedimento referendario, confidando che ulteriori 4 Regioni facciano altrettanto. L’art. 75 della Costituzione prevede, infatti, che possano sottoporre al voto popolare l’abrogazione di una legge o di parte di essa “500mila cittadini o 5 Consigli regionali”.
Il confronto si svolge tutto intorno ai cd limiti impliciti e logici alla ammissibilità del referendum abrogativo. La Corte Costituzionale, con le sue pronunce, a partire dalla storica sentenza n.16/78, ha aggiunto alle materie, elencate esplicitamente dall’art. 75, comma 2, anche “le disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, riferendosi a quelle normative la cui modifica indefettibilmente consegue nella lesione degli interessi specifici tutelati dalla Costituzione, e le leggi costituzionalmente obbligatorie o necessarie”. Ed è in questo ambito che si colloca la questione che ci occupa. La tesi del Governo è che la legge n. 86 del 26 Giugno 2024, che entrerà in vigore il 13 Luglio 2024, sia una legge costituzionalmente necessaria o a contenuto costituzionalmente vincolato. Tale tesi traballa, tanto che lo stesso Governo ha inserito, cautelativamente, la legge appena approvata nella NADef tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio, in modo da sottrarla al referendum in applicazione del limite esplicito alla ammissibilità del referendum sulle leggi di bilancio.
L’art. 116 dice, infatti, in maniera molto puntuale, che altre materie “possono essere attribuite ad altre Regioni (oltre quelle a Statuto speciale), con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di una intesa fra lo Stato e la Regione interessata.” La norma appare autosufficiente. Il procedimento non sembra richiedere ulteriori passaggi normativi: la Regione chiede l’attribuzione di maggiori funzioni tra quelle elencate all’art. 117, e lo Stato con legge approva l’intesa, a maggioranza assoluta dei componenti. Quindi non si dovrebbe parlare della legge Calderoli come costituzionalmente necessaria o vincolata e considerarla normalmente abrogabile dal voto popolare. Questo è il pensiero prevalente, ma il responso finale è, in ogni caso, affidato alla Corte, che, nel tempo, ha, via via, esteso lo spazio all’interpretazione, affermando un principio la cui lettura può non essere univoca. Quindi il referendum rimane sub iudice.
E poi, una volta superato, il vaglio della Corte non dimentichiamo che il Referendum abrogativo deve conquistare la voglia dei cittadini di recarsi alle urne. Per essere valida la consultazione deve avere la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto. Obiettivo impegnativo considerato il tendenziale aumento dell’astensionismo degli ultimi anni in tutte le consultazioni, in primis quelle referendarie. Quello su cui pochi si sono interrogati è, invece, la possibilità di proporre la questione di legittimità costituzionale della norma. Una costante giurisprudenza della Corte afferma che “le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione di parametri diversi da quelli relativi al riparto delle competenze legislative ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite…” (ex plurimis, sentenze n. 128 e n. 33 del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010).
L’iter disegnato dall’art. 116 prevede, altresì, che il trasferimento di funzioni e competenze alle regioni avvenga nel rispetto dei principi di cui all’art. 119. Tale norma stabilisce che il passaggio sia preceduto dalla effettiva istituzione di un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, allo scopo di garantire che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni possano finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Tale precondizione non si è realizzata. La legge delega n. 42/2009 che disciplina il federalismo fiscale non è mai stata eseguita e oggi rischia di essere superata dalla legge quadro 86.
Sappiamo bene che la questione della regionalizzazione del cd residuo fiscale sarebbe in contrasto con il principio perequativo contenuto nell’art. 119 e nella legge delega, perché la sua applicazione si risolverebbe in una riduzione dell’afflusso di risorse in alcuni territori con l’effetto di compromettere l’esercizio delle “attribuzioni costituzionalmente garantite… da parte delle regioni con minore capacità fiscale”. Sicuramente dietro le iniziative regionali a dare pareri c’è il gota della categoria forense, di fronte al quale umilmente arretro. Ci sono però contesti in cui a prevalere è più la pressione a creare la questione che non l’interesse scientifico a essere parte della fase creativa del diritto. In questo caso, però, la questione è talmente seria che meriterebbe da parte di tutti, attori pubblici e privati, una partecipazione più di testa che di pancia.