Ennesima polemica a saldo negativo per la credibilità del Paese, quella che ha colpito il Rapporto sullo stato di diritto. Le Raccomandazioni 2023 dell’Ue all’Italia sono, contrariamente al passato, delle carezze. E soprattutto non c’è nessuna censura sulla libertà di stampa. Il rapporto segnala i progressi fatti in settori nevralgici e conclude con sei sobrie raccomandazioni a proseguire sulla strada della digitalizzazione delle sedi penali e delle
procure, della regolamentazione dell’attività di lobbying e delle donazioni dei partiti, a portare avanti il progetto di riforma in materia di diffamazione e di protezione delle fonti giornalistiche, a rivedere il meccanismo di finanziamento dei media del servizio pubblico e a intensificare il processo
di costruzione di una istituzione nazionale per i diritti umani. Direi che la notizia data in pasto al pubblico dimostra, al contrario, che la libertà nel nostro paese è tale da consentire l’ampia circolazione anche di grandi fake.
Quindi più che il coprifuoco, dovremmo temere la disinformazione. Nonostante i cosiddetti portatori di interessi si siano sforzati di dare alla Ue, nella fase di consultazione, un’immagine negativa del Paese, il rapporto conclude con raccomandazioni di tutt’altro tenore rispetto alla polemica sollevata da una parte della stampa.
Nessuna censura si legge negli atti rispetto alla presunta violazione della libertà di informazione da parte del nostro paese. Ma, se vogliamo fare informazione seria, dobbiamo dire che l’Ue un tema di riflessione lo apre. Nella ultima finanziaria il Governo ha scelto di ridurre il canone Rai spo-
stando i costi sul bilancio. Dunque, per alleggerire il carico dei cittadini, ha previsto circa 400 milioni per i media del servizio pubblico. Questa operazione, secondo l’Ue, potrebbe essere prodroma di ingerenze da parte della politica e, per l’effetto, minare l’indipendenza del servizio pubblico.
La raccomandazione in esame contiene, infatti, l’invito a “provvedere affinché siano in vigore disposizioni o meccanismi che assicurino un finanziamento dei media del servizio pubblico adeguato per l’adempimento della loro missione e per garantirne l’indipendenza”. La questione non ri-
guarda i limiti alla libertà di informazione, ma la sua dipendenza dalle fonti finanziarie.
La vicenda assume, così, una fisionomia diversa. E soprattutto la raccomandazione coinvolge i cittadini. Per ridurre il carico diretto dei singoli, il governo ha posto una parte maggiore dei costi del servizio sul bilancio. Sono 20 euro in meno in bolletta per ciascuno. Questo renderebbe ostaggio
la Rai? Ragioniamoci, senza respingere a priori la raccomandazione. Ma la Rai più che un problema di influenza politica ha un problema di dipendenza dal mercato. Le pubblicità sono un “meccanismo di differenziazione finanziaria” ma inevitabilmente condizionano la qualità dei pro-
grammi. È dalle regole di mercato, per fare un esempio, che scaturisce la scelta di sospendere “Noos – L’avventura della conoscenza”, il programma di Alberto Angela in onda su Rai 1 perché la concorrenza di Temptation Island, che ha incassato uno share di tre volte superiore, ha fatto precipi-
tare l’interesse dei finanziatori.
Altro che ripensare alla reintroduzione del canone Rai, “gabella” di cui si discute da tempo, perché è uno dei tributi che registra la maggiore evasione ed è oneroso per chi lo paga. Bisogna ripensare il valore comune della informazione e della conoscenza e interrogarsi sul perché ai media non chiediamo più strumenti per crescere e per sapere.