Bologna e l’Emilia sommerse dal fango e dall’acqua sono l’immagine di una Italia sempre più in ritardo con gli appuntamenti importanti. Fa male parlare di vite umane perse, ancor di più se ciascuno dentro di sé ha la consapevolezza che sisarebbe potuto evitare il disastro.

Il Ministro Musumeci ha detto che simili catastrofi si prevengono, “lavorando nella stagione della siccità”. Ma quante stagioni serviranno ancora a noi italiani per mettere veramente in sicurezza il territorio e ridefinire un sistema in grado di fronteggiare i rischi? L’estate 2024, quasi o più di quella dello scorso anno, ha fatto soffrire il paese con le sue temperature torride, alle quali si è accompagnata una penuria di acqua, che ha messo in ginocchio persone, animali e ambiente.

Ma di nastri tagliati per opere compiute ce ne sono stati pochi. Icambiamenti climatici, in atto da tempo, lasciavano prevedere, già dal secolo scorso, le forti contraddizioni metereologiche alle quali saremmo stati sottoposti. Passiamo dalla sete d’acqua ad essere sommersi dall’acqua, quasi senza soluzione di continuità. La prevedibilità di tali fenomeni li rende non più eventi straordinari ma accadimenti naturali da gestire nell’ambito di un’accorta pianificazione.

Eppure, sul fronte economico, si conta prevalentemente sulla straordinarietà di innesti, come nel caso del Pnrr, che ha messo a disposizione fondi pari all’1,3% del budget complessivo per la prevenzione del rischio idrogeologico. Tali risorse straordinarie risultano insufficienti, rispetto alle esigenze complessive di risanamento del territorio, stante la sua ben nota fragilità e l’altrettanto nota assenza di politiche adeguate nel tempo.

Mentre sul piano sistemico, abbiamo costruito i presupposti per una inefficiente ipertrofia pianificatoria. Da un canto, negli anni abbiamo immaginato di governare la natura, distribuendole competenze tra centro e periferia. Il titolo V della Costituzione, all’art.117, comma 2, lettera s), prevede, infatti, la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” e lascia alle Regioni la “conservazione dell’ambiente” e le “sueutilizzazioni”.

Quando una materia diventa così trasversale è difficile definire esattamente i confini tra le diverse competenze ed è facile che si generino forme di deresponsabilizzazione controproducenti. Poi, con il nostro consueto approccio all’eccesso normativo, abbiamo creato un meccanismo complesso, nel quale, mentre a livello centrale si definiscono i principi quadro, alle regioni si affida il compito di redazione di una molteplicità di piani: Tutela delle Acque, Assetto Idrogeologico, di Sviluppo Rurale, Anti Incendi Boschivi, Territoriale Regionale, Rifiuti. Ciascun piano, a sua volta, prevede competenze sovrapposte e incrociate di altri enti. Per fare un esempio, sul Piano di Tutela delle Acque esprimono parere il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, l’Autorità di Bacino Distrettuale, nel caso della Campania, è il Distretto Idrografico dell’Appennino Meridionale, l’Ente Idrico, l’Ufficio Bonifiche, i Consorzi di Bonifica, gli Enti Parco e gli Enti di Gestione delle Riserve Naturali Regionali, l’Ufficio della Difesa Suolo ed Ecosistema.

Tutti i piani insieme dovrebbero garantire, correttamente integrati tra loro, la messa in sicurezza del territorio, la prevenzione dei rischi e la gestione ottimale delle sue risorse. È facilmente intuibile, però, come un simile tipo di costruzione non possa portare nulla di buono e, soprattutto, nulla che sia in grado di assecondare nei tempi e con la velocità necessari gli eventi ambientali. È evidente che serve una semplificazione.

In Campania, il Piano di Tutela delle Acque ha impiegato 14 anni per essere approvato! Le previsioni metereologiche annunciano che la perturbazione si sta spostando verso le regioni del sud e la nostra Regione è al terzo posto, dopo Emilia e Toscana, per rischio alluvionale, non tanto per il volume delle precipitazioni, bensì per le condizioni di argini e letti dei fiumi e degli impianti fognari. Gli interventi di manutenzione e rinaturalizzazione delle infrastrutture verdi programmati nell’agenda 2014/20 non sono stati ancora completati e le opere di sistemazione idraulica, pulizia e consolidamento degli alvei, per ampliare e migliorare le condizioni di deflusso delle acque e rinforzare la stabilità delle sponde, hanno riguardato solo una parte del territorio.

Sapendo che le alluvioni, per effetto del dissesto idrogeologico, si verificano quando le acque di un fiume non vengono contenute dalle sponde e si riversano nelle zone circostanti, dovremmo essere tutti più impegnati a dare maggiore importanza alle opere di manutenzione del territorio, di pianificazione, di depurazione dei corpi idrici, di chiusura del ciclo dei rifiuti, di implementazione dell’economia circolare locale, di cura e salvaguardia del patrimonio delle aree protette nazionali e regionali e, soprattutto, di realizzazione di impianti e di infrastrutture di collettamento delle acque. Invertendo l’ordine delle stagioni, suggerito dal ministro Musumeci, oggi, potremmo impegnarci per prevenire la siccità, lavorando a queste priorità nella stagione delle piogge.