Il due volte Presidente degli Stati Uniti ha aperto e chiuso, in una battuta, quanto accaduto, lanciando una bomba nella palude della opinione pubblica
Quello di cui vorrei parlare non è più notizia, ma per me è la notizia e non ha una scadenza. Mi riferisco alle frasi inqualificabili pronunciate da Donald Trump, sul disastro dell’aereo finito nelle acque del Potomac. Difficile commentarle, ma ancor di più lo è frenare l’istinto e tacere.
Dopo 7 giorni, recuperati i resti dell’aereo, lo sforzo di ricerca dei corpi è ancora in corso. Lo strazio di parenti e amici è solo all’inizio. Ma il due volte Presidente degli Stati Uniti ha aperto e chiuso, in una battuta, quanto accaduto, lanciando una bomba nella palude della opinione pubblica.
La teoria del Presidente sarebbe che, all’origine dell’incidente ci sia la “disabilità” dei controllori di volo addetti a coordinare e guidare le operazioni da terra. Tale affermazione poggia sulla convinzione che le politiche di promozione della inclusione economica e sociale di Biden e, ancor prima, di Obama avrebbero portato personale non qualificato a occupare posizioni di lavoro senza valutarne l’adeguatezza.
The Donald non lascia spazio all’interpretazione. Il suo mantra è stupire e speculare, senza se e senza ma. Di fronte a simili tragedie si centrifugano le sensibilità e viene fuori un mix in cui prevale l’atteggiamento curioso più che il sentimento di pietà. C’è l’uso consumato di esaurire ogni evento con sommari processi mediatici dai quali esce un colpevole, a cui si attribuisce uno stigma che nessun altro giudizio civile potrà togliere.
Rimane infatti impressa nella mente, soprattutto nella parte preposta alla reazione emotiva e istintiva, la memoria del fatto eclatante. Il resto evapora. Due giorni fa, la triste verità è emersa. L’errore umano sembra sia da attribuire ai piloti dell’elicottero militare, che non hanno sentito le istruzioni da terra. Ma non importa. I colpevoli già c’erano. La notizia non era più una notizia. La morale è che non c’è morale.
Il Presidente degli Stati Uniti calpesta i morti e fa strage di valori come l’inclusione della diversità. Ritorna all’epoca dei suprematismi della razza perfetta. In pochi si scandalizzano, archiviando l’ennesimo eccesso verbale di Trump come un malvezzo da Tycoon. Purtroppo o per fortuna, la cosa non ha avuto seguito perchè altre e più significative boutade sono entrate nel dibattito, come l’acquisto della Striscia di Gaza, i dazi alle importazione da Europa, Cina, Messico e Canada.
Tutti temi ritenuti più rilevanti. Nessuno ha però compreso la gravità dell’affermazione contro tutte le diversità. Mentre questa è e resta la chiara denuncia di un approccio contrario a ogni forma di umanesimo che pervaderà qualunque scelta del governo della potenza statunitense, le altre dichiarazioni, stante la loro evidente natura provocatoria, apriranno, come già sta accedendo, negoziati bio multilaterali per definire nuovi accordi commerciali o per dare nuovo e diverso alimento a una guerra devastante tra due popoli che oggi coinvolge il mondo intero.
La discriminazione delle disabilità è un atto di inciviltà che non possiamo lasciar sbiadire dietro un imbarazzante silenzio. Soprattutto è per me importante chiarire che l’inclusione sociale ed economica non è un tema di sinistra, come lascerebbero intendere le parole di Trump. Valorizzare le diversità e creare un mondo in cui tutti abbiano gli stessi diritti, abbattendo barriere culturali e fisiche, è un imperativo categorico che non ha colore politico.
Questo percorso, che richiede di rimettere al centro la persona, non ha nulla a che vedere con la demeritocrazia fatta di compiacenze e favori, ma prevede la costruzione di un sistema dove possono trovare spazio tutte le competenze, ciascuna in ragione della propria specialità.