Il Next Generation Eu, programma nel quale nasce il nostro Pnrr, come quelli degli altri Stati membri, mostra un andamento lento che lascia intravedere il rischio che non tutti gli obiettivi di spesa previsti siano raggiunti entro giugno 2026. A febbraio dello scorso anno il monitoraggio della Commissione Europea sui progressi del programma su scala europea ha certificato una spesa di 225 miliardi di euro su 1.150 obiettivi e traguardi raggiunti, pari a circa il 35% del totale. Il dato è sicuramente apprezzabile se valutato in relazione alla situazione di contesto, nella quale gli Stati hanno operato: i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, un elevato livello di inflazione, l’interruzione dei flussi di forniture di materie prime, i disastri naturali e gli eventi climatici dirompenti. In assoluto però il risultato raggiunto è al di sotto delle previsioni iniziali e i 16 mesi che abbiamo davanti fino al termine di scadenza fissato al 30 giugno 2026 sembrano insufficienti per recuperare. Proprio gli eventi straordinari, che hanno caratterizzato il periodo trascorso, hanno reso necessario un aggiustamento delle previsioni di bilancio stimate nel 2020, che ha portato, in sede di revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale (Qgp) 2021-2027, all’approvazione di una dotazione aggiuntiva pari a €. 64,6 miliardi per il fondo Ucraina, per “Migrazione e gestione delle frontiere”, per “Vicinato e resto del mondo”, per il Fondo europeo per la difesa nell’ambito del nuovo strumento Step, per lo strumento di flessibilità e per la riserva di solidarietà e per gli aiuti d’urgenza. In questo ambito il Consiglio Europeo ha previsto di reperire le risorse in parte da fondi nuovi e in parte rifinalizzando fondi e programmi esistenti, al fine di non gravare troppo sui bilanci nazionali. Sulla scia di tale decisione si colloca quanto accaduto a Bruxelles una settimana fa, nel corso del Consiglio Europeo, convocato in sede informale, dal Presidente Antonio Costa, con all’ordine del girono la difesa e la sicurezza europea. I Capi di Stato hanno discusso di promuovere la capacità di difesa comune dell’Unione, immaginando, in aggiunta agli strumenti di bilancio esistenti, alcune opzioni come l’emissione di un nuovo debito comune e il rafforzamento dei partenariati. In questo scenario, si è fatta largo l’idea di reindirizzare le risorse non spese dei fondi di coesione e del Ngeu, anche verso la domanda di maggiori stanziamenti per la spesa militare. In particolare, ha contribuito a immaginare tale congegno finanziario il Cpe – Centro per gli studi di Politica Europea – che ha approvato e presentato una risoluzione con la quale propone di “riassegnare i fondi di coesione e del Next Generation UE non spesi” in un fondo gestito dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), suggerendo esplicitamente che in tal modo si otterrebbe il doppio effetto di “aggirare i veti dei governi dell’UE militarmente non allineati o filo-russi”. Il CPpe è un organismo indipendente molto attivo a Bruxelles che coinvolge cittadini, associazioni e attori sociali nell’attività legislativa, animando così la pubblica opinione. Non un organo che partecipa del procedimento legislativo, ma senza dubbio un soggetto che può condizionarlo. Soprattutto quando le ipotesi formulate si presentino tutt’altro che surreali. Il meccanismo immaginato risponderebbe alla domanda di maggiori stanziamenti sul capitolo difesa e, nel contempo, ridurrebbe la pressione verso gli Stati, che in base alle richieste della Nato, dovrebbero portare il budget per la difesa al 4% del Pil. Se pensiamo che in Italia la spesa militare è di poco superiore all’1,5% e che essa è destinata in prevalenza ai costi per il personale, è facile rendersi conto che ritrovare una copertura europea sarebbe oltremodo utile. Tale opzione è stata presentata al Presidente della Commissione europea per il Libro bianco sulla difesa, che dovrebbe essere presentato a marzo. Tutto questo ci deve far riflettere. Per quanto l’Italia abbia registrato ottime performance sulla spesa dei fondi Pnrr, ha comunque davanti un significativo pezzo di strada da percorrere. Potrebbe, pertanto, in via indiretta diventare, senza volerlo, finanziatore di maggioranza della spesa per la difesa europea. La prospettiva concreta che le risorse non spese possano essere rapidamente finalizzate su altri obiettivi apre alla urgenza di rivedere i nostri meccanismi di spesa e di abbattere le tante barriere burocratiche ancora in piedi, invece di attardarci nella speranza di ottenere un rinvio o una ennesima riprogrammazione interna. Peraltro, la situazione invita a interrogarsi su quanto sia importante recuperare la capacità di visione strategica. È solo in tale dimensione che uno stato acquisisce la consapevolezza delle tante variabili interdipendenti che condizionano l’assetto nazionale. Operare in maniera compartimentata, per effetto della logica della opposizione a tutto ciò che promuove il governo, è miope e non fa vedere gli effetti che le nostre azioni producono.