La patria dei diritti e delle libertà sembra cambiare fisionomia

 

Compra la Groenlandia, impone dazi contro Canada, Messico, Europa e Cina, fa traslocare la Palestina, destituisce il Presidente ucraino e dichiara guerra all’Ucraina sulle terre rare, legittima il neocolonialismo russo. Ha mandato assolti tutti i suoi replicanti dell’attacco a Capitol Hill di 4 anni fa per evitare collaterali. Insomma dal 20 gennaio si è abbattuto sulla terra l’uragano Trump. Qualcuno definisce The Donald un estemporaneo. In realtà dietro il trumpismo di questi giorni c’e una lucida, per quanto insensata, strategia economica e finanziaria, che prefigura un mondo governato da due grandi potenze America e Russia nel quale, inutile dirlo, la prima possa prevalere sulla seconda, rompendo l’asse con la Cina.

La patria dei diritti e delle libertà, che negli anni della cd guerra fredda rappresentava l’Occidente democratico contro i regimi dell’altra parte dell’emisfero, sembra cambiare fisionomia. Diventa infatti l’espressione di un mondo diviso sulla quantità di beni e servizi controllati più che sulla qualità dei valori da tutelare. Facendo così fare passi indietro alla storia della civiltà. In questo quadro l’UE è più terreno di gioco che attore in campo. Il livello del suo Pil, del suo surplus commerciale e del suo tasso di crescita sono infatti troppo debolì per essere della partita su questo piano. In Italia, secondo gli scenari più credibili, l’impatto delle minacce lanciate sulla bilancia commerciale sarebbe significativo. Sicuramente inferiore a quello che toccherebbe alla Germania, ma non per questo tale da fare di questo scenario un problema tedesco più che europeo, come alcuni analisti vorrebbero far credere (vedi approfondimento a firma di Carlo Cambi su Panorama di qualche settimana fa).

E, volendo fare un focus sulla nostra economia meridionale, non trovo tranquillizzante il dato che vede penalizzato maggiormente il Centro Nord. Tanto perché il nostro sistema è interconnesso e la produzione al Sud ha una forte dipendenza dal Nord. Pensare di difendersi da tutto questo ripiegando all’interno non ha senso. Credo siamo giunti a un momento di svolta. Alla scriteriata azione di Trump si può e si deve reagire come europei rafforzando quelle politiche comuni cui naturalmente si collegano effetti di consolidamento di una piena soggettività internazionale. Politica di difesa e sicurezza, politica economica e monetaria e politica industriale.

Le indicazioni che vengono dagli elettori europei, da ultimo in Germania, non contraddicono la prospettiva. I popolari si confermano maggioranza e la destra cresce ma non vince. Quindi nel futuro resta il disegno di una Unione politica. Il come costruirla è scritto chiaramente nel Rapporto Draghi “Sul futuro della Competitività Europea” e sul Rapporto Letta “Sul Futuro del Mercato Unico”, che dopo le rispettive presentazioni sono stati chiusi in un cassetto. Il credito reputazionale guadagnato dalla nostra premier è una leva importante per guidare questo processo comune. La reazione dei mercati agli annunci del Presidente degli Stati Uniti era inevitabile, ma la volatilità degli effetti può essere gestita da una reazione pronta e determinata.

 

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