Da un lato ci sono gli autoritarismi e dall’altro ci sono gli ideologismi. Questo è il vero discrimine
La semplificazione del bipolarismo proposta da Ernesto Maria Ruffini, qualche giorno fa sulle pagine di Repubblica, è, a mio avviso, un modo improprio di rappresentare le attuali emergenze democratiche. Da un lato ci sono gli autoritarismi e dall’altro ci sono gli ideologismi. Questo è il vero discrimine sul quale organizzare le future alleanze o consolidare gli assetti esistenti.
“Le culture costituzionali unite, nella diversità, da una stessa idea di democrazia, libertà e di Europa”, categoria proposta da Ruffini per indicare un aggregato ideale da contrapporre alle destre, non sono tutte da una parte. Democrazia, Libertà ed Europa sono categorie politiche sulle quali si consolidano le differenze tra destra e sinistra e non tra destra e resto del mondo.
E per la loro declinazione, ritengo che sia ancora attuale la lezione di Norberto Bobbio che vedeva nell’approccio al tema della uguaglianza il carattere distintivo tra destra e sinistra. Da un lato ci sono le “culture costituzionali” che interpretano la democrazia come un processo di responsabilizzazione dal basso, dove la libertà è la possibilità di competere sul merito in una dimensione sovranazionale, che contemperi le identità nazionali con le politiche comuni.
Dall’altro lato ci sono quelle che ritengono la democrazia una condizione data, nella quale lo stato ha il compito di redistribuire la ricchezza per legge e che coltivano una idea di Europa come super stato che si sostituisce agli Stati nazione. Non riconoscere tale realtà equivale a negare l’esistenza di una idea diversa. Vuol dire esercitare una forma di autoritarismo culturale. L’assetto è molto più complesso di come si voglia far credere.
Per riportare in equilibrio il sistema è necessario che quelle che definiamo culture costituzionali riprendano a confrontarsi. Il rispetto dell’altro parte dal riconoscimento della sua esistenza, concetto smarrito nel graduale decadimento valoriale della politica. In questa prospettiva le culture moderate, nell’uno e nell’altro campo, giocano il proprio ruolo fondamentale, rappresentando la forza centripeta che consente di marginalizzare gli estremismi.
Personalmente credo in un modello di sviluppo economico che tenda all’equilibrio tra libertà di mercato e giustizia sociale, dove al singolo vengano garantite le libertà costituzionali di iniziativa, di impresa e di mercato nonché i diritti costituzionali di istruzione, lavoro e proprietà e allo Stato spetti il compito di garante.
La libertà non è messa in discussione dalla ricchezza. Quello che rende meno liberi è lo statalismo che frena le energie positive rinunciando a regolare una sana competizione del merito. Lo stato deve occuparsi di introdurre correttivi alle differenze di partenza in modo da consentire a ciascuno di avere uguali opportunità.
Il progetto lanciato dal neo condottiero dei cespugli moderati della sinistra è dissociato dalla realtà culturale del nuovo mondo globale. La marcia che propone potrà avere una sua nobiltà ma non potrà essere universalmente riferita a tutto il mondo culturale di centro. Questa idea di alzare il vessillo contro i ricchi potenti che uccidono la libertà non è culturalmente affine ai principi del popolarismo cristiano democratico, fondato sulla cooperazione tra le classi sociali e non sul loro antagonismo.