Ai cittadini campani e veneti, direttamente coinvolti, seppur non interpellati, resta affidato il difficile compito di andare a votare

Tra “nuove albe” e “tramonti” si è svolto un altro episodio della serie “Terzo mandato. Gli insostituibili”, che si è chiuso con la bocciatura dell’emendamento leghista in commissione affari costituzionali. A favore, oltre la Lega naturalmente, solo 2 voti, uno di IV e l’altro del gruppo delle Autonomie.

La vicenda ha molto di istruttivo. Parlarne è ancora attuale, perché “del futur non v’è certezza”, e può essere utile perché offre l’occasione di ragionare sulle contorsioni della politica moderna e, possibilmente, farne tesoro al momento del voto, che prima o poi arriverà.

Sicuramente i pensieri che affollano la mente dei duellanti del Terzo mandato non sono rivolti alle future generazioni, avendo di mira esclusivamente le prossime elezioni e la connessa possibilità di rimanere in sella. Il ripensamento di Giorgia Meloni, chiarite le regole del gioco, risulta assolutamente legittimo, benché non condivisibile.

La “ragion di Stato” va salvaguardata e, in nome di una stabilità di governo, è necessario far buon viso a cattivo gioco. In tale direzione unica condizione “abilitante” poteva apparire il possibile negoziato tra terzo mandato e legge elettorale, sintesi del significato che Lega e FI attribuiscono alla democrazia.

Antitetiche ma sempre politicamente “riducibili” le posizioni. Altre ipotesi di mediazione non c’erano. Avrebbero aperto il varco smaccatamente allo scambio di potere e avrebbero avuto dichiaratamente il gusto amaro della sconfitta dei valori.

Salvini vuole la modifica della legge 165/2004, che fissa a 10 anni il limite del mandato per un presidente di Regione eletto “a suffragio universale e diretto e con il potere insindacabile di nominare e revocare i componenti della Giunta” che “dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica” (Legge costituzionale n. 1/99, Art. 1, comma 3) e chiede che il limite dei mandati sia portato a tre.

Tajani caldeggia la reintroduzione di un sistema proporzionale, con un premio di maggioranza per le coalizioni arrivate al di là di una certa soglia. Dal tavolo si tiene lontana Fratelli d’Italia, che dopo aver aperto, ma senza scoprirsi, ha lasciato che fossero gli alleati a sciogliere i nodi.

Ove mai si dovesse ritornare sull’argomento (!), considero che, al di là degli interessi particolari evidentemente perseguiti, entrambi i correttivi andrebbero nella direzione di una più ampia responsabilizzazione del corpo elettorale. Da un canto si affiderebbe al popolo sovrano il compito di operare con discernimento la scelta di voto per fungere da “temperamento di sistema” rispetto all’elezione diretta del vertice monocratico, cui il limite imposto dal legislatore fa, attualmente, da “ponderato contraltare”.

Il principio, introdotto con l’art. 122 della Costituzione, costituisce l’espressione di una scelta discrezionale del legislatore volta a bilanciare la straordinarietà dei poteri di presidente di Regione e di Sindaco, che nell’ordinamento italiano sono gli unici due incarichi monocratici al vertice di un organo politico esecutivo cui si accede con elezione diretta sul modello del presidenzialismo degli Stati Uniti.

Dall’altro, con la modifica della legge in senso proporzionale, i cittadini riconquisterebbero il diritto di scegliere e la nostra Repubblica Parlamentare tornerebbe in vigore. Questo piano di confronto sarebbe stato dignitoso, ma la Lega ha voluto forzare i tempi e presentare l’emendamento prima di concludere i colloqui con gli alleati.

L’indignazione manifestata dal Ministro Calderoli, molto vicino a Salvini, suona stonata. L’esito era prevedibile e tanto è sufficiente per gettare un’ombra sull’operazione e sollecitare indiscrezioni sulla bontà dei rapporti interni alla Lega.

Dopo tutto questo e al netto di eventuali ulteriori episodi della serie sopra citata, ai cittadini campani e veneti, direttamente coinvolti, seppur non interpellati, nella querelle, resta affidato il difficile compito di andare a votare, sapendo che il prescelto avrà un enorme potere, che solo onestà, intellettuale e morale, e competenza, porterà a gestire nell’interesse comune senza affezionarsi troppo.