È d’obbligo cambiare lo schema di gioco per preparare il campo al rinnovo del governo regionale
Il governo di Giorgia Meloni, numeri alla mano, ha promosso un “cambio di paradigma”, come titolava qualche giorno fa “il Mattino”, nell’approccio alla storica “questione meridionale». Ora tocca alla Regione fare la sua parte. Per andare fino in fondo e consolidare gli effetti di questa inversione di tendenza è necessario completare il mosaico con il fondamentale tassello del risveglio delle coscienze e del promuovimento dal basso. Altrimenti ogni sforzo sarà vano. Per essere conseguenti al teorema innovativo presentato alla sua prima uscita anche dal neo sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, con delega al Sud, Luigi Sbarra, è d’obbligo cambiare lo schema di gioco per preparare il campo al rinnovo del governo regionale.
Negli ultimi decenni ci siamo abituati a costruire le alleanze e le squadre di governo sui calcoli più che sulle affinità. Per questo poco ci tocca che a sinistra si stiano mettendo insieme protagonisti della nostra storia recente da sempre opposti. È vero che cambiare idea è segnale di intelligenza e che la politica è mediazione, ma passare da una mozione di sfiducia al Presidente DeLuca “articolata sui fallimenti in materia di sanità, trasporti, economia, lavoro”, queste le parole del consigliere Gennaro Saiello, a costruire un’alleanza che parta dal riconoscimento del lavoro degli ultimi 10 anni, è un’acrobazia elettorale preoccupante.
Se la rete posticcia creata per ottenere il risultato, non regge, al suolo si schianta la Regione tutta. Questa operazione di buono produce la semplificazione del quadro. In primo luogo, eliminando il Terzo Polo, rappresentato negli ultimi anni in Campania dai Pentastellati, e poi mettendo insieme assistenzialisti, pauperisti e populisti. Tale rassemblement non concede, infatti, alibi agli opportunismi del centro politico. I centristi non possono riconoscersi in una politica che nega “libertà e intraprendenza privata”, come diceva De Gasperi, sapendo che la giustizia sociale si promuove ricercando il punto di equilibrio tra eguaglianza dei diritti e pari opportunità, tra sviluppo economico e lavoro, difesa e sicurezza, progresso e centralità della persona, tutela dell’ambiente e crescita. Vorrei ricordare che la prima elezione di De Luca fu ottenuta con un misero scarto dello 0,55% su Stefano Caldoro e fu frutto di quel 2,4% di voti dell’Udc, che, ignorato sui tavoli nazionali, transitò dal centrodestra al centrosinistra pochi giorni prima della chiusura delle liste.
Le elezioni del 2020 fanno storia a sé. L’effetto della pandemia si è visto in quello spostamento altrimenti non giustificabile del 20% di voti da Caldoro a DeLuca, per la terza volta contendenti dopo 10 anni. Le forze di governo nazionale dovrebbero, in questo quadro, mostrare maggiori aperture ed essere inclusive, prima che con i “civici”, cui rivolge la propria attenzione Maurizio Gasparri, con l’ampio mondo dell’impegno politico moderato e popolare al quale fa riferimento una parte significativa di quel ceto medio,fatto di mondo del lavoro, dell’impresa, della cultura, che da anni han scelto di astenersi. L’affluenza al voto in Campania dal 2010 al 2020 si è ridotta di oltre 7 punti percentuali. Il cambio di paradigma per il Sud e per la Campania passa di qui. Più politica, meno improvvisazione.