Opinionista:

La riforma delle autonomie arriva anche a Bruxelles ed irrompe sul tavolo del complesso negoziato sulla rimodulazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La proposta di concedere maggiori spazi di autonomia alle Regioni che ne facciano richiesta entra, infatti, nell’elenco delle preoccupazioni che la Commissione Ue mette in fila nel suo Rapporto Semestrale per paese del 24 maggio scorso. Il documento di lavoro, trasmesso al Consiglio Europeo, contiene l’invito a formulare specifiche raccomandazioni di aggiustamento al nostro paese, affinché si riallinei agli impegni del Piano di ripresa e resilienza e riveda il Programma di stabilità. In particolare l’attenzione delle istituzioni europee è rivolta ai tre obiettivi trasversali che percorrono l’intero piano. Il superamento dei divari di genere, generazionali e territoriali rappresenta una delle principali sfide del piano. È infatti proprio dalle diseguaglianze e dagli squilibri socio economici che sono scaturiti i circa 200 miliardi di euro di prestiti e finanziamenti all’Italia, in quanto usati quali parametri di calcolo dello stato di difficoltà economica di ciascun paese. Nello scorrere i dati dell’analisi, il Country Report segnala la necessità di accelerare sulla riforma del mercato del lavoro, del meccanismo di tassazione del lavoro stesso e del sistema scuola, università e istituti tecnici per promuovere l’incontro domanda/offerta, ancora troppo rigido, e stimolare l’occupazione femminile e giovanile, che, nonostante i piccoli incrementi registrati nell’ultimo anno, colloca l’Italia tra i peggiori stati membri. Sulla coesione territoriale l’alert è dato proprio dalla legge quadro sul regionalismo deifferenziato, approvata dal Governo italiano, che, si legge nel rapporto, “rischia di peggiorare la complessità del sistema economico e fiscale” e di “avere un impatto negativo sulla qualità del sistema di finanza pubblica e sulle disparità regionali”. Le aree di maggiore criticità rispetto al Pnrr sono le regioni meridionali, dove la capacità amministrativa, definita in termini quantitativi oltre che qualitativi, è molto bassa. Quelle stesse regioni che con l’autonomia differenziata vedrebbero minato in maniera immediata e diretta il diritto costituzionalmente garantito ad essere beneficiarie della perequazione economica e sociale. La tregua delle riforme, fino a che sia completato il cammino della ripresa e della resilienza, potrebbe essere una soluzione. Quel che necessita ora è una maggiore coesione tra i diversi livelli istituzionali. E, d’altro canto, una rivoluzione istituzionale così profonda non potrà che avvantaggiarsi di una più serena riflessione e di un più aperto confronto. Gli stimoli offerti anche dai documenti acquisiti e dalle audizioni svolte in Senato sono molteplici e meritano attenzione. E per di più credo sia giusto insistere con il ministro Calderoli perché si faccia promotore della piena attuazione della legge delega n. 42/2009, legge che porta il suo nome e che definisce i principi del federalismo fiscale, di cui all’art.119 della Costituzione. L’esercizio di quella delega diretta a superare il meccanismo della finanza derivata, a introdurre la perequazione delle risorse, basata sui fabbisogni e sulle capacità fiscali di ciascun territorio, nonché la perequazione infrastrutturale e il percorso di convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni va completato prima di ogni altro intervento. Affidare tutto questo lavoro alla commissione di esperti costituita presso la Presidenza del Consiglio sarebbe non solo, in assoluto, di dubbia costituzionalità ma anche in violazione di quella legge ancora vigente, che lo stesso ministro Calderoli ha promosso. La compiuta regolamentazione del federalismo fiscale è peraltro una delle milestone del Pnrr, che prevede tra le priorità la “riforma del quadro fiscale sub-nazionale”. Se esistono le coincidenze (negative!) non lo so, ma numeri ed eventi che tornano fanno riflettere. Nel 1970, dopo 22 anni dalla entrata in vigore della Costituzione del 1948, videro la luce le Regioni. Nel 2023, dopo 22 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione, si vorrebbe dar vita alle Regioni differenziate. Il fatto che il regionalismo non abbia dato grande prova di se in questi anni potrebbe indurre a pensare scaramanticamente che sia meglio non ripetersi. Una certezza resta immutata, dal 1948 a oggi, il valore delle autonomie locali e del decentramento amministrativo si regge sul principio inviolabile della unità e indivisibilità della Repubblica.